L’interessante ricostruzione storica dell’autrice rievoca il complesso caso giudiziario che ebbe come protagonista la giovane Geertje Dircx, assunta come bambinaia presso la casa dell’artista poco prima della morte di sua moglie Saskia.
Dopo il lutto, tra la ragazza e il Maestro nacque una storia d’amore, coronata dal dono dei preziosi gioielli appartenuti alla defunta moglie dell’artista. Considerato il valore dei monili, Rembrandt indusse la compagna a sottoscrivere un testamento in virtù del quale alla sua morte i gioielli sarebbero stati ereditati da Titus il figlio dell’artista.
La liaison durò qualche anno e, nonostante la fama e il prestigio del maestro ad Amsterdam, la convivenza della coppia fu sempre mal tollerata dalla società; la relazione si concluse con il più classico dei cliché: Rembrandt, dopo essersi perdutamente innamorato di Hendrickje Stoffels, giovane cameriera neoassunta, mise rapidamente Geertje alla porta.
La donna senza più un alloggio né un lavoro, dopo un primo attimo di sbandamento connotato dalla poco felice idea di alloggiare in una locanda dove altre ospiti esercitavano il mestiere più antico del mondo, decise di far valere i propri diritti.
Infatti, se è vero che oggi in Italia la convivenza di fatto garantisce ben poche tutele agli ex innamorati, nell’Olanda del ‘600, la situazione era un po’ diversa: fu così che Geertje Dircx avviò con il Maestro una vera e propria negoziazione diretta a ottenere una somma a titolo di mantenimento, sulla base dell’esistenza di una “promessa di matrimonio” infranta.
All’esito di rapide trattative sembrò che le parti fossero pronte ad addivenire a un accordo, secondo cui Rembrandt avrebbe versato all’ex compagna una somma mensile di 160,00 fiorini, ma Geertje si rifiutò di firmare, ritenendo la somma offerta troppo esigua e del tutto insufficiente a garantirle il sostentamento necessario in caso di malattia.
La ragazza trascinò, quindi, Rembrandt in Tribunale: all’epoca la legge olandese prevedeva che, nei casi di promessa matrimoniale non mantenuta, potesse essere imposta la celebrazione del matrimonio, oppure fosse riconosciuto il diritto alla corresponsione di una somma di denaro, o di una rendita.
Nonostante la ferma resistenza del pittore, Geertje vide ampiamente accolta la propria domanda: i giudici ritennero i fatti pacificamente dimostrati dal dono dei gioielli di Saskia, per cui condannarono Rembrandt al pagamento di un mantenimento a favore dell’ex compagna, oltre al versamento di una somma di 200 fiorini con i quali Geertje avrebbe dovuto riscattare un paio di bracciali precedentemente impegnati per procurarsi del denaro per il proprio sostentamento. La sentenza prevedeva, altresì, che alla morte della donna i gioielli sarebbero stati destinati al figlio di Rembrandt, per cui le era fatto divieto di venderli o darli in pegno.
Poco tempo dopo la pronuncia del Tribunale, Geertje – pare su insistenza del fratello – diede i gioielli in garanzia: venuto a conoscenza della circostanza, Rembrandt, noto per il carattere iroso e vendicativo, si adoperò in ogni modo per far condannare l’ex compagna a una pena esemplare.
La denuncia ebbe a oggetto non soltanto la violazione del disposto della sentenza, ma soprattutto l’accusa del reato ben più grave di prostituzione. Come prova di quanto asserito, Rembrandt si procurò dei testimoni che confermarono soltanto la permanenza per qualche tempo di Geertje Dircx presso una locanda nota per i facili costumi delle frequentatrici, nessun altro indizio circa la condotta delittuosa emerse dal processo.
Nonostante l’inconsistenza probatoria circa l’accusa di meretricio, Geertje fu condannata a dodici anni di reclusione. Ogni ricorso, petizione per mitigare la severità della sanzione furono sempre ostinatamente rifiutati, anche per le continue pressioni di Rembrandt rivolte ai notabili del paese: l’artista era determinato a far scontare l’intera pena all’ex compagna. Soltanto dopo cinque anni, ormai seriamente malata, Geertje riuscì a ottenere la grazia a seguito del ricorso presentato da un’amica.
Se possibile, la sorte di Hendrickie Stoffels fu ancor peggiore di quella riservata a Geertje: neppure l’ex cameriera riuscì a farsi sposare da Rembrandt, dal quale tuttavia ebbe una figlia e per tale ragione fu deferita alla Corte ecclesiastica con l’accusa di concubinaggio.
La figura e la storia di Geertje Dircx sono state oscurate per secoli: la donna che quattrocento anni addietro agì per tutelare i propri diritti, fu sbrigativamente apostrofata come un’approfittatrice scaltra e priva di scrupoli, ferma nell’estorcere denaro e ricchezze al Maestro.
Soltanto dopo il 1960 l’intento di proteggere l’immagine di un’icona nazionale come Rembrandt ha evidenziato le prime incrinature: da allora gli studiosi grazie agli archivi storici hanno ricostruito questa complessa vicenda, che pare si sia conclusa con una condanna del Maestro al risarcimento dei danni procurati a Geertje per ingiusta detenzione.
Ai giorni nostri non sarebbe pensabile l’imposizione di un obbligo a sposarsi, poiché il consenso liberamente espresso dai nubendi è elemento costitutivo per il perfezionamento del vincolo coniugale.
L’art 79 C.c. specifica che la promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo, né a eseguire quanto si fosse eventualmente convenuto in caso di inadempimento: quindi, l’esistenza di una relazione amorosa, quand’anche connotata da una convivenza pluriennale e dalla presenza di figli, non è idonea a far sorgere un obbligo a sposarsi.
Esiste, tuttavia, la promessa di matrimonio, ovvero il cosiddetto fidanzamento ufficiale, inteso quale impegno della coppia rappresentato ai familiari e amici di volersi frequentare per addivenire responsabilmente alla celebrazione dello sposalizio. In questo caso, la rottura del fidanzamento può determinare l’obbligo alla restituzione dei doni fatti dal promittente a causa della promessa di matrimonio; il termine per proporre questa azione è particolarmente breve: appena un anno dal giorno in cui il richiedente ha ricevuto la notizia della rottura del fidanzamento.
Qualora la promessa di matrimonio sia effettuata dai nubendi con atto pubblico o scrittura privata autenticata, oppure risultante dalla richiesta delle pubblicazioni, il promittente che, senza giustificato motivo rompe il fidanzamento, oppure il nubendo che per sua colpa giustifica il rifiuto di sposarsi dell’altro, sarà tenuto al risarcimento del danno, limitatamente alle spese sostenute e alle obbligazioni contratte in ragione della promessa matrimoniale. Anche in questo caso l’azione si prescrive nel breve termine di un anno dal rifiuto. (Vedasi art. 81 C.c.)
Una storia d’amore intessuta senza un fidanzamento ufficiale, oppure al di fuori delle ipotesi dell’art. 81 C.c., non determinerà il sorgere di diritti di alcun genere, né conseguenze giuridiche di qualsivoglia natura, in quanto essa sorge, si svolge e si conclude con i connotati di una permanente e illimitata libertà reciproca ed è soltanto questa che acquista rilevanza nel mondo del Diritto, mentre ogni altra implicazione rimane affidata all’aspetto dei doveri morali, etici e sociali.