Pur essendo un reato contro il patrimonio altrui, di frequente viene visto con minor disvalore sociale rispetto al furto, verosimilmente per l’ingegno e la fantasia con cui il reo ha insidiosamente manipolato la realtà per percepire l’ingiusto profitto.
L’inganno può essere perfezionato con un raggiro di parole o argomentazioni, oppure con un artificio, ovvero la materiale alterazione della realtà, come quella che sembra essere stata realizzata da un giovanissimo Michelangelo Buonarroti.
Si racconta che tra il 1495 e il 1496 a Firenze l’artista fu contatto da due cugini di Lorenzo de Medici appena rientrati dall’esilio: giunti presso la bottega dell’artista, la loro attenzione fu attratta da un “Cupido dormiente” rappresentato nell’età di circa sei anni, a grandezza naturale; chiesero allo scultore se fosse possibile trattarlo per farlo sembrare antico, poiché avevano un compratore al quale potevano spacciarlo per autentico; per il lavoro gli avrebbero versato ben trenta ducati… un buon vantaggio per tutti.
Per alcune fonti, Michelangelo accettò la proposta; lavorò e affumicò il Cupido sino a che non risultasse antico di almeno un paio di secoli; lo consegnò ai due committenti, incassando il pagamento.
Qualche tempo dopo, uno dei due cugini de’ Medici ritornò presso la bottega dello scultore insieme a un gentiluomo giunto da Roma, tal Jacopo Galli: quest’ultimo chiese a Michelangelo di disegnare una mano; poco dopo lo schizzo fu pronto e il gentiluomo esclamò che non aveva dubbi su chi fosse allora lo scultore del falso Cupido antico venduto per duecento scudi al potente Cardinale Raffaele Riario, di cui Galli era il segretario. L’opera era senz’altro frutto dello straordinario talento del Buonarroti.
Jacopo Galli riferì che il Cardinale era piuttosto indispettito per la figuraccia conseguente all’ampia diffusione della notizia della truffa in suo danno, ma al contempo desiderava conoscere l’autore dello splendido Cupido e per tali ragioni invitava lo scultore a Roma.
Quando si dice la svolta della vita: Michelangelo accettò senza indugio e quando si trovò al cospetto del Cardinale, gli porse le sue scuse. Questi, da avveduto mecenate qual era, non sporse denuncia, ma volle che l’artista rimanesse presso la residenza del Galli, commissionandogli la scultura del Bacco, oggi esposta al Museo del Bargello a Firenze.
Sembra inizi così, con un condotta illecita rimasta impunita, l’ascesa nella Città Eterna dello scultore che – come nessun altro- ha saputo estrarre dal marmo più candido la fisicità intensa di un corpo umano o la sublime delicatezza di un volto di fanciulla.
Michelangelo non aveva ancora venticinque anni quando ricevette dal cardinale francese Jean Bilhères de Lagraulas, del titolo di Santa Sabina, ambasciatore del re di Francia, l’incarico di scolpire una Vergine con un Cristo morto da collocare presso la Cappella di Santa Petronilla, nella vecchia Basilica di San Pietro.
Jacopo Galli, che conosceva bene lo straordinario talento di Michelangelo ed era stato l’intermediario tra i due, prestò quasi una garanzia – anche se il termine è giuridicamente improprio – a favore dell’artista, scrivendo una lettera – oggi conservata presso l’Archivio di Stato – nella quale assicurava che la scultura sarebbe stata la più bella opera in marmo che Roma avesse mai avuto.
Michelangelo accettò la proposta e si recò a Carrara, dove si trattenne per nove mesi fintanto che trovò un blocco di marmo soddisfacente per lucentezza e perfezione.
Al suo rientro a Roma il rapporto negoziale venne formalizzato in un atto scritto datato 27 agosto 1498: si trattava di un contratto d’opera nel quale si specificava che il Cristo doveva essere a grandezza naturale. La peculiarità del contratto d’opera rispetto all’appalto, al quale spesso viene assimilato, va ravvisata nella predominanza del lavoro del persona rispetto agli altri mezzi a disposizione dell’obbligato (attrezzature, personale, immobilizzazioni…).
Nel caso di Michelangelo non è dubitabile l’assoluta dominanza della mano dell’artista in rapporto alla prestazione dovuta e ai mezzi a disposizione: si pensi che – secondo talune fonti- la delicata fase della levigatura del marmo, eseguita con pietra pomice, aveva portato conseguenze irreversibili alle mani dello scultore.
Il termine di consegna era fissato entro un anno dalla data della sottoscrizione del contratto, appena tre mesi in più del tempo occorso per procurarsi il marmo.
Dalla pietra Michelangelo estrasse un capolavoro assoluto: lascia attoniti la bellezza del giovane volto di Lei, quasi non potesse essere la madre figlio abbandonato sulle sue gambe, coperte da una veste dal panneggio ampio e morbido. Anche il volto del figlio ha lasciato andare la sofferenza, tutto trasmette una rassegnata serenità, quasi vi fosse – in fondo – la consapevolezza che con l’amore è stata vinta la crudezza della morte.
Roma rimase incantata dalla Pietà, come se fosse di fronte a qualcosa di prodigioso, mai visto prima per la sua lucentezza, lo splendore e la grazia, vera bellezza dell’anima.
La promessa di Jacopo Galli fu ampiamente mantenuta e mezzo secolo dopo Vasari colse più di ogni altro la meraviglia compiuta da Michelangelo, affermando «Non pensi mai, scultore né artefice raro, potere aggiungere di disegno né di grazia, né con fatica poter mai di finezza, pulitezza e di straforare il marmo tanto con arte, quanto Michelangelo vi fece, perché si scorge in quella tutto il valore et il potere dell’arte».