Secondo il diritto romano la pena di morte poteva essere comminata con diverse modalità, ma quella che nel tempo si perfezionò ed ebbe estesa applicazione fu la morte in croce, castigo supremo per la sua manifesta violenza e crudeltà; fu strumento per i romani di sottomissione dei popoli conquistati, in ragione del potere deterrente e dissuasivo di questa atroce pratica, applicata a chi si opponeva al dominio delle forze della Città Eterna.
Le cronache storiche raccontano di drammatici episodi nei quali vennero giustiziate migliaia di persone contemporaneamente, come accadde nel corso della rivolta degli schiavi guidati da Spartaco tra il 73 e il 71 a. C.: in questo lasso di tempo i romani condannarono alla croce oltre seimila compagni dello schiavo ribelle, domando così una delle più forti ribellioni di cui si abbia memoria.
L’effetto afflittivo della sanzione iniziava ben prima della crocifissione, preceduta da una lunga serie di torture: la morte del crocefisso poteva giungere dopo una terribile agonia di molte ore se non giorni e spesso il corpo rimaneva esposto come monito per la collettività.
La crocifissione non fu l’unica pena capitale di particolare crudeltà, ma riveste un grande significato storico religioso, in quanto comminata al Re dei Giudei: la sua condanna è quanto di più profondo l’umanità abbia mai conosciuto. Cristo porta nel corpo crocifisso e nell’anima tutto il peso del male. Secondo il cristianesimo, la passione e la morte di Gesù sono la vendetta di Dio: Egli stesso, nella persona del Figlio, trasforma il male del mondo in amore sofferente atto a salvare l’umanità.