Il committente specificò che si trattava di una “statua di marmo a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco di pietra.”
Di fronte a questa scultura nessuno si sottrae allo stupore: il corpo giace con il capo reclinato. La morte è appena sopraggiunta, si vedono le ferite, il volto è incavato, ma allo stesso tempo disteso, si nota una vena sulla fronte.
Le braccia rilasciate lungo il corpo, le mani abbandonate mostrano ancora le vene: tutto è estremamente reale e porta a pensare che chi l’ha scolpito avesse conoscenza diretta l’effetto naturale della vita che sfuma dal corpo per diventare puro spirito.
Il Cristo è coperto da un velo, impalpabile, quasi trasparente, leggerissimo eppure dal potere evocativo straordinario, in grado di ampliare l’immagine della sofferenza patita per il sacrificio supremo.
Il virtuosismo della scultura è talmente alto che per lungo tempo si è dubitato del fatto che il sudario fosse davvero frutto della sola mano dello scultore: si è asserito che fosse l’esito di processi alchemici, oppure si poteva trattare di un composto di polvere di marmo trattato in modo particolare. Non si è mai giunti a una risposta certa, ma la questione ha poca importanza di fronte alla magnificenza di questo capolavoro e alla forza del suo messaggio.
Il dolore e la sofferenza non sono concetti avulsi dal Diritto, in quanto afferenti alla vita, bene supremo della persona, alla salute e alla dignità, quali diritti costituzionalmente tutelati.
Da pochi giorni, dopo un lungo e tortuoso percorso, sono entrate in vigore le norme sul biotestamento: la persona informata, alla quale sia stato spiegato dai medici la patologia, le terapie indicate e i probabili esiti di cura, è libera di decidere se sottoporsi o meno ai trattamenti sanitari, potendo in qualsiasi momento – nei modi stabiliti dalla legge – revocare un consenso precedentemente prestato.
Tali scelte, operate quando si è ben consapevoli delle conseguenze derivanti da un eventuale diniego alle cure, possono essere effettuate anche in via anticipata, grazie alle “Disposizioni anticipatorie di trattamento”. In questo caso, il paziente, al quale il medico ha rappresentato la situazione clinica e le opzioni terapeutiche, esprime – in via preventiva – la propria volontà nell’ipotesi in cui venisse a trovarsi nell’impossibilità di manifestare validamente il proprio consenso, o dissenso, per incapacità d’intendere e volere.
Alle persone che decidono di rinunciare alle cure e ai trattamenti sanitari, nei quali sono compresi anche l’alimentazione e l’idratazione artificiali, è sempre garantita la terapia del dolore e le cure palliative. Inoltre, è vietato l’accanimento terapeutico.
Di fronte alla sofferenza senza fine, quando rimane soltanto l’ineluttabile, non esiste il Diritto Perfetto: rimane soltanto la possibilità di riconoscere al soggetto una libertà di scelta in ragione del principio di autodeterminazione che tutela la dignità della persona. Ne è espressione il disposto che consente ai malati terminali, refrattari a qualsiasi tipo di trattamento sanitario, di chiedere al medico curante di far ricorso alla sedazione palliativa profonda, che porterà la persona di addormentarsi, lasciando la fine della vita il suo decorso naturale senza ulteriori sofferenze.