PROMESSA D’ARTISTA

Il recente romanzo “L’Amante di Rembrandt”, scritto da Simone Van Der Vlugt, narra la storia vera di Geertje Dircx, giovane amante del Maestro Rembrandt Van Rijn, riabilitandone, semmai fosse possibile con un libro, la figura dopo quasi quattrocento anni.

L’interessante ricostruzione storica dell’autrice rievoca il complesso caso giudiziario che ebbe come protagonista la giovane Geertje Dircx, assunta come bambinaia presso la casa dell’artista poco prima della morte di sua moglie Saskia.

Saskia in veste di Flora, Rembrandt, National Gallery, Londra

Saskia in veste di Flora, Rembrandt, National Gallery, Londra 

Dopo il lutto, tra la ragazza e il Maestro nacque una storia d’amore, coronata dal dono dei preziosi gioielli appartenuti alla defunta moglie dell’artista. Considerato il valore dei monili, Rembrandt indusse la compagna a sottoscrivere un testamento in virtù del quale alla sua morte i gioielli sarebbero stati ereditati da Titus il figlio dell’artista.

Titus allo scrittoio, Rembrandt, Museum Boymans Van Beunigen

Titus allo scrittoio, Rembrandt, Museum Boymans Van Beunigen

La liaison durò qualche anno e, nonostante la fama e il prestigio del maestro ad Amsterdam, la convivenza della coppia fu sempre mal tollerata dalla società; la relazione si concluse con il più classico dei cliché: Rembrandt, dopo essersi perdutamente innamorato di Hendrickje Stoffels, giovane cameriera neoassunta, mise rapidamente Geertje alla porta.

La donna senza più un alloggio né un lavoro, dopo un primo attimo di sbandamento connotato dalla poco felice idea di alloggiare in una locanda dove altre ospiti esercitavano il mestiere più antico del mondo, decise di far valere i propri diritti.

Infatti, se è vero che oggi in Italia la convivenza di fatto garantisce ben poche tutele agli ex innamorati, nell’Olanda del ‘600, la situazione era un po’ diversa: fu così che Geertje Dircx avviò con il Maestro una vera e propria negoziazione diretta a ottenere una somma a titolo di mantenimento, sulla base dell’esistenza di una “promessa di matrimonio” infranta.

Autoritratto, Rembrandt, Rjiksmuseum, Amsterdam

Autoritratto, Rembrandt, Rjiksmuseum, Amsterdam

All’esito di rapide trattative sembrò che le parti fossero pronte ad addivenire a un accordo, secondo cui Rembrandt avrebbe versato all’ex compagna una somma mensile di 160,00 fiorini, ma Geertje si rifiutò di firmare, ritenendo la somma offerta troppo esigua e del tutto insufficiente a garantirle il sostentamento necessario in caso di malattia.

La ragazza trascinò, quindi, Rembrandt in Tribunale: all’epoca la legge olandese prevedeva che, nei casi di promessa matrimoniale non mantenuta, potesse essere imposta la celebrazione del matrimonio, oppure fosse riconosciuto il diritto alla corresponsione di una somma di denaro, o di una rendita.

Nonostante la ferma resistenza del pittore, Geertje vide ampiamente accolta la propria domanda: i giudici ritennero i fatti pacificamente dimostrati dal dono dei gioielli di Saskia, per cui condannarono Rembrandt al pagamento di un mantenimento a favore dell’ex compagna, oltre al versamento di una somma di 200 fiorini con i quali Geertje avrebbe dovuto riscattare un paio di bracciali precedentemente impegnati per procurarsi del denaro per il proprio sostentamento. La sentenza prevedeva, altresì, che alla morte della donna i gioielli sarebbero stati destinati al figlio di Rembrandt, per cui le era fatto divieto di venderli o darli in pegno.

I Sindaci dei Drappieri, Rembrandt, Rjiksmuseum, Amsterdam

I Sindaci dei Drappieri, Rembrandt, Rjiksmuseum, Amsterdam

Poco tempo dopo la pronuncia del Tribunale, Geertje – pare su insistenza del fratello – diede i gioielli in garanzia: venuto a conoscenza della circostanza, Rembrandt, noto per il carattere iroso e vendicativo, si adoperò in ogni modo per far condannare l’ex compagna a una pena esemplare.

La denuncia ebbe a oggetto non soltanto la violazione del disposto della sentenza, ma soprattutto l’accusa del reato ben più grave di prostituzione. Come prova di quanto asserito, Rembrandt si procurò dei testimoni che confermarono soltanto la permanenza per qualche tempo di Geertje Dircx presso una locanda nota per i facili costumi delle frequentatrici, nessun altro indizio circa la condotta delittuosa emerse dal processo.

Nonostante l’inconsistenza probatoria circa l’accusa di meretricio, Geertje fu condannata a dodici anni di reclusione. Ogni ricorso, petizione per mitigare la severità della sanzione  furono sempre ostinatamente rifiutati, anche per le continue pressioni di Rembrandt rivolte ai notabili del paese: l’artista era determinato a far scontare l’intera pena all’ex compagna. Soltanto dopo cinque anni, ormai seriamente malata, Geertje riuscì a ottenere la grazia a seguito del ricorso presentato da un’amica.

Ritratto di Hendrickje Steffels, Rembrandt

Se possibile, la sorte di Hendrickie Stoffels fu ancor peggiore di quella riservata a Geertje: neppure l’ex cameriera riuscì a farsi sposare da Rembrandt, dal quale tuttavia ebbe una figlia e per tale ragione fu deferita alla Corte ecclesiastica con l’accusa di concubinaggio.

La figura e la storia di Geertje Dircx sono state oscurate per secoli: la donna che quattrocento anni addietro agì per tutelare i propri diritti, fu sbrigativamente apostrofata come un’approfittatrice scaltra e priva di scrupoli, ferma nell’estorcere denaro e ricchezze al Maestro.

Soltanto dopo il 1960 l’intento di proteggere l’immagine di un’icona nazionale come Rembrandt ha evidenziato le prime incrinature: da allora gli studiosi grazie agli archivi storici hanno ricostruito questa complessa vicenda, che pare si sia conclusa con una condanna del Maestro al risarcimento dei danni procurati a Geertje per ingiusta detenzione.

Ai giorni nostri non sarebbe pensabile l’imposizione di un obbligo a sposarsi, poiché il consenso liberamente espresso dai nubendi è elemento costitutivo per il perfezionamento del vincolo coniugale.

Il Bacio, Hayez, Pinacoteca di Brera

Il Bacio, Hayez, Pinacoteca di Brera

L’art 79 C.c. specifica che la promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo, né a eseguire quanto si fosse eventualmente convenuto in caso di inadempimento: quindi, l’esistenza di una relazione amorosa, quand’anche connotata da una convivenza pluriennale e dalla presenza di figli, non è idonea a far sorgere un obbligo a sposarsi.

Esiste, tuttavia, la promessa di matrimonio, ovvero il cosiddetto fidanzamento ufficiale, inteso quale impegno della coppia rappresentato ai familiari e amici di volersi frequentare per addivenire responsabilmente alla celebrazione dello sposalizio. In questo caso, la rottura del fidanzamento può determinare l’obbligo alla restituzione dei doni fatti dal promittente a causa della promessa di matrimonio; il termine per proporre questa azione è particolarmente breve: appena un anno dal giorno in cui il richiedente ha ricevuto la notizia della rottura del fidanzamento.

Sposalizio della Vergine, Raffaello, Pinacoteca di Brera

Sposalizio della Vergine, Raffaello, Pinacoteca di Brera

Qualora la promessa di matrimonio sia effettuata dai nubendi con atto pubblico o scrittura privata autenticata, oppure risultante dalla richiesta delle pubblicazioni, il promittente che, senza giustificato motivo rompe il fidanzamento, oppure il nubendo che per sua colpa giustifica il rifiuto di sposarsi dell’altro, sarà tenuto al risarcimento del danno, limitatamente alle spese sostenute e alle obbligazioni contratte in ragione della promessa matrimoniale. Anche in questo caso l’azione si prescrive nel breve termine di un anno dal rifiuto. (Vedasi art. 81 C.c.)

Una storia d’amore intessuta senza un fidanzamento ufficiale, oppure al di fuori delle ipotesi dell’art. 81 C.c., non determinerà il sorgere di diritti di alcun genere, né conseguenze giuridiche di qualsivoglia natura, in quanto essa sorge, si svolge e si conclude con i connotati di una permanente e illimitata libertà reciproca ed è soltanto questa che acquista rilevanza nel mondo del Diritto, mentre ogni altra implicazione rimane affidata all’aspetto dei doveri morali, etici e sociali.

Amore e Psiche, Canova, Musée du Louvre, Parigi, dettaglio

Amore e Psiche, Canova, Musée du Louvre, Parigi, dettaglio

 

 

 

 

Per approfondire:

Per approfondire:

“L’amante di Rembrandt Storia di un amore proibito”, di Simone Van Der Vlugt, Piemme 2021

“Rembrandt” di Philippe Daverio, Corriere della Sera

Corte di Cassazione sentenza n. 7064 del 29/11/1986

Corte di Cassazione sentenza n. 3015 del 2/5/1983

Corte di Cassazione sentenza n. 539 del 21/2/1966

C’eravamo tanto amati

Lo scioglimento del matrimonio, pur risalendo ai tempi antichi, è stato osteggiato per secoli in ragione della sacralità del vincolo tra gli sposi: per risolvere questa convivenza forzata, la storia racconta del frequente ricorso ai rimedi più drastici.

Nella Roma Repubblicana era permesso il divorzio: i coniugi potevano sciogliere il vincolo matrimoniale di comune accordo, oppure si poteva procedere per volere di uno dei due e per le ragioni più diverse, compreso l’essersi innamorati di un’altra persona.

Con il Cristianesimo le cose cambiarono drasticamente e il matrimonio divenne un legame sacro (e come tale indissolubile) salvo la possibilità di annullamento da parte dell’Autorità ecclesiastica.

Quest’ultima soluzione era difficilmente praticabile, richiedendo motivazioni specifiche e limitate; tuttavia, nonostante le stringenti norme del diritto canonico, non mancarono forzature giuridiche per le più svariate ragioni, da quelle politiche agli equilibri di forza tra il richiedente e la Chiesa.

Lucrezia Borgia

Lucrezia Borgia

Papa Borgia escogitò due motivi di divorzio per la figlia Lucrezia (sic): per il primo matrimonio, il coniuge Giovanni Sforza fu accusato d’impotenza. Inizialmente indignato fu costretto a incassare il colpo, non accettando di sottoporsi a un’umiliante verifica pubblica sulla sua virilità;  il secondo marito, Alfonso d’Aragona, amatissimo da Lucrezia, ebbe meno fortuna in quanto, per risolvere in fretta la questione della separazione, Cesare Borgia optò per un rimedio definitivo e organizzò l’assassinio del cognato. Lucrezia trovò pace soltanto quando sposò Alfonso d’Este e si trasferì nella città di Ferrara.

La sterilità vera o presunta, di norma ascritta alla moglie, era il motivo più utilizzato per divorziare: Margherita di Valois, la quale da anni viveva separata dal marito  Enrico di Navarra, fu accusata di non essere stata in grado di dargli un figlio; prima di cedere alle pressioni della Chiesa, che mirava a far salire Maria de’ Medici sul trono, con un’abilità  da far invidia alle negoziazioni moderne, dopo sei anni di trattative ottenne una ricca liquidazione e la garanzia di un tenore di vita adeguato: dopo di che nulla oppose all’annullamento del matrimonio.

Margherita di Valois

Margherita di Valois

Anche Enrico VIII fu famoso per la creatività con cui si liberava delle mogli di cui rapidamente si stancava e pur di ottenere  dal Papa l’annullamento del matrimonio con Caterina d’Aragona ruppe con la Chiesa sancendo così la scissione anglicana. Indifferente alla scomunica papale, nel 1533 sposò Anna Bolena dalla quale divorziò poco dopo con le accuse più infamanti, per poi condannarla a morte mediante decapitazione.

Enrico VIII e le sue mogli

Enrico VIII e le sue mogli

Nella lunga storia delle crisi matrimoniali il principio “finché morte non ci separi” è stato frequentemente preso alla lettera; tra i rimedi più in uso vi erano gli avvelenamenti: famosissimo fu il caso di Giulia Tofana e della sua acqua (https://www.ildirittoperfetto.it/giulia-lacqua-e-il-concorso-nel-delitto-quasi-perfetto/ ), poche gocce al giorno e in due settimane il “divorzio” era perfezionato.

Il diritto perfetto: la storia di Giulia Tofana

Soltanto con la Rivoluzione francese per un breve periodo venne introdotto lo scioglimento del matrimonio, anche per la semplice incompatibilità di carattere, ma tali norme ebbero vita breve e con la Restaurazione furono abrogate.

In Italia si dovettero attendere gli anni ’70 per l’approvazione della legge n. 898 del 1° dicembre 1970, che disciplina lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio. La differenza tra le due locuzioni attiene al fatto che lo scioglimento riguarda i matrimoni contratti solo con rito civile, mentre la cessazione degli effetti civili è riferita ai matrimoni concordatari, ovvero quelli celebrati in Chiesa da un ministro di culto cattolico ai quali lo Stato riconosce effetti civili.

La Legge sul divorzio è stata severamente osteggiata, sino a essere portata al vaglio del popolo italiano, il quale con la maggioranza del 59% scelse di mantenere la normativa che oggi viene riconosciuta come un caposaldo del diritto alla libertà e all’autodeterminazione delle persone.

Prima di arrivare allo scioglimento vero e proprio del matrimonio si deve tuttavia passare per un periodo di separazione dei coniugi, nel quale il vincolo coniugale persiste ma è attenuato; la ratio della separazione è quella di concedere ai coniugi un periodo di riflessione prima di procedere con lo scioglimento definitivo della famiglia. Sino al 2015 tale periodo era di tre anni, ma con l’introduzione delle norme sul divorzio breve è stato ridotto a sei mesi (legge 6 maggio 2015 n. 107).

Tralasciando gli aspetti della gestione delle vertenze in tema di diritto di famiglia e del modo migliore per affrontarle di cui si tratterà in altra occasione, la regolamentazione degli aspetti patrimoniali domina la scena del conflitto.

Fino al 2017 la Giurisprudenza era pressoché granitica e garantiva al coniuge economicamente più debole un assegno divorzile parametrato sul mantenimento di un tenore di vita analogo a quello avuto nel corso del matrimonio: questa soluzione  ha portato spesso alla creazione di vere e proprie rendite vita natural durante.

Corte di Cassazione

Corte di Cassazione, Roma

Con la nota sentenza 11504/2017 la Corte di Cassazione ha decisamente  cambiato rotta, recependo un radicato mutamento culturale  e sociale: gli Ermellini hanno evidenziato che il divorzio scioglie e recide qualsiasi legame intercorso tra i coniugi, permanendo soltanto un dovere solidaristico assistenziale nel caso in cui uno dei due non disponga di  adeguati mezzi di sostentamento o si trovasse nell’impossibilità oggettiva di procurarseli.

Ne è conseguito un taglio netto a tutte le domande di assegno divorzile, atteso che, abbandonato drasticamente il parametro del tenore di vita, il mantenimento sarebbe spettato soltanto in casi di mancanza di  mezzi di sostentamento: il vulnus che si è venuto a creare è stato determinato dalla mancanza di un altro e diverso parametro rispetto al quale fare riferimento per la quantificazione di tale assegno  e di conseguenza per un periodo le decisioni dei Tribunali sono state le più disparate.

Nel 2018 le Sezioni Unite della Cassazione sono intervenute rapidamente per calmierare la rigidità del nuovo principio introdotto dalla citata sentenza.

Le SS. UU. hanno ribadito l’abbandono dell’anacronistico parametro del tenore di vita, ma hanno anche sancito il diritto a un assegno divorzile a favore del coniuge economicamente più debole, quando nel corso del matrimonio egli abbia sacrificato le proprie ambizioni e aspirazioni lavorative per dedicarsi alla cura della famiglia e dei figli, consentendo all’altro coniuge di svolgere liberamente la propria attività e di formare il suo patrimonio o quello comune.

L’altra ragione per riconoscere un assegno di mantenimento ha natura prettamente assistenziale ed è ravvisabile qualora il coniuge più debole non disponga di mezzi propri di sostentamento o non sia oggettivamente in grado di procurarseli per ragioni di età, fisiche o altro, come nei casi in cui uno dei due sia ultracinquantenne e da tempo fuori dal mercato del lavoro e sia sprovvisto di un proprio patrimonio da mettere a frutto.

L'immagina raffigura un particolare della Toga dei Giudici della Corte di Cassazione

Particolare della Toga dei Giudici della Corte di Cassazione

La sentenza del 11504/2017 con il suo effetto dirompente nel mondo del diritto di famiglia ha recepito un cambiamento del sentire sociale, pienamente confermato anche dalle Sezioni Unite, alle quali va riconosciuto il merito di aver comunque ribadito la sopravvivenza, in talune circostanze, degli effetti di solidarietà e riequilibrio delle condizioni patrimoniali dei coniugi in ragione di quel legame familiare e  d’amore che nonostante tutto c’è stato.

"Separzione" di Edvard Munch, The Oslo Museum, 1896

“Separzione” di Edvard Munch, The Oslo Museum, 1896

 

Per approfondire:

Per approfondire:

Corte di Cassazione sentenza del 10 maggio 2017 n. 11504

SS. UU. Corte di Cassazione sentenza datata 11 luglio 2018 n. 18287