Questa cultura si diffuse nel mondo anche grazie alla sua lingua, che vide gli albori con le opere di Dante, per poi proseguire nei celebri versi di Petrarca, nell’Umanesimo e nel Rinascimento.
Si trattava di una lingua di “cultura”, quasi una forma d’arte: la nostra dilagante Bellezza cinquecentesca travalicò i confini della penisola (seppur ancora lontana dall’essere Italia), insinuandosi nell’Europa continentale e oltre, arrivando sino all’Inghilterra, regno di Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, ultima discendente della dinastia Tudor.
L’iconica sovrana inglese, colta e raffinata, era un’appassionata lettrice delle poesie di Petrarca, parlava e scriveva correttamente in italiano, ritendendolo la lingua della cultura per eccellenza, persino molto più “charmante” del francese. Pare avesse un insegnante madre lingua con cui conversare abitualmente ed era solita preferire l’italiano quando si trovava negoziare con gli spagnoli, i quali non svettavano nelle sue simpatie. Di recente è stato pubblicato un libro intitolato “Elisabeth I’s Italian Letters” che raccoglie le numerose missive scritte in italiano dalla Regina inglese ai più svariati personaggi dell’epoca da Ferdinando I de’ Medici a Wan-Li imperatore della Cina.
Oltre all’aspetto strettamente culturale connesso alla storica figura di questa grande sovrana, emerge qualcosa che nel tempo abbiamo dimenticato: l’importanza di curare la nostra lingua; infatti, se è vero che in passato essa fu un modo per fregiarsi del sapere superiore e, come tale, simbolo d’appartenenza all’élite delle persone colte, lontanissime dalle classi sociali medio-basse, oggi è parte integrante di noi, del nostro essere, della nostra vita.
La strenua difesa dell’italiano è affidata dal 1583 all’Accademia della Crusca, la più antica istituzione al mondo per il controllo della lingua: dalla sua sede nella splendida Villa Medicea di Castello a Firenze, culla del nostro patrimonio linguistico, l’Accademia ancora oggi vigila e allerta sui rischi di un lento e inesorabile declino del nostro idioma.
Tra i fattori più preoccupanti sono menzionati i numerosissimi termini inglesi che ogni anno entrano a far parte del vocabolario della lingua italiana e che erodono il corrispondente lessico nazionale, talvolta inutilmente, essendovi in italiano un vocabolo che corrisponde perfettamente a quello inglese: un paio di esempi eclatanti che oggi dilagano nel lessico sia comune sia professionale sono “endorsment” per dire “sostegno, adesione”, oppure “mission” per riferirsi a una “finalità” o uno “scopo”, o ancora “vision”, in pratica la visione o principio ispiratore di un certo progetto.
La protezione delle nostra lingua è doverosamente demandata anche alle istituzioni universitarie, comprese quelle di natura scientifica e tecnologica, le quali non sempre sono state all’altezza di tale compito. Un caso su tutti è emblematico: nel 2012 presso il Politecnico di Milano furono istituiti alcuni corsi avanzati e di dottorato soltanto in lingua inglese, escludendo totalmente la nazionale; il provvedimento del Rettore venne impugnato avanti al TAR da alcuni docenti dell’Istituto in ragione dell’illegittima totale esclusione dell’italiano. Il TAR diede ragione ai ricorrenti, ma la sentenza venne impugnata di fronte al Consiglio di Stato, il quale si rivolse alla Corte Costituzionale, sottoponendole la questione di legittimità con riferimento alla norma della “Riforma Gelmini”, diretta al “rafforzamento dell’internalizzazione” delle discipline di studio. Tralasciando gli aspetti tecnici del quesito rivolto alla Corte, il punto era stabilire se tale norma fosse legittima nell’indicazione della possibilità di istituire corsi in lingua straniera, escludendo l’italiano.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 42/2017 non ritenne la norma contraria alla Costituzione, ma si pronunciò con un’ineccepibile sentenza interpretativa, nella quale si evidenzia il primato delle lingua nazionale sulle altre. Si riporta un breve passaggio della motivazione, che vale la pena leggere: “La lingua italiana è dunque, nella sua ufficialità, e quindi primazia, vettore della cultura e della tradizione immanenti nella comunità nazionale, tutelate anche dall’art. 9 Cost. La progressiva integrazione sovranazionale degli ordinamenti e l’erosione dei confini nazionali determinati dalla globalizzazione possono insidiare senz’altro, sotto molteplici profili, tale funzione della lingua italiana: il plurilinguismo della società contemporanea, l’uso d’una specifica lingua in determinati ambiti del sapere umano, la diffusione a livello globale d’una o più lingue sono tutti fenomeni che, ormai penetrati nella vita dell’ordinamento costituzionale, affiancano la lingua nazionale nei più diversi campi. Tali fenomeni, tuttavia, non debbono costringere quest’ultima in una posizione di marginalità: al contrario, e anzi proprio in virtù della loro emersione, il primato della lingua italiana non solo è costituzionalmente indefettibile, bensì – lungi dall’essere una formale difesa di un retaggio del passato, inidonea a cogliere i mutamenti della modernità – diventa ancor più decisivo per la perdurante trasmissione del patrimonio storico e dell’identità della Repubblica, oltre che garanzia di salvaguardia e di valorizzazione dell’italiano come bene culturale in sé.”
Questa sentenza deve essere considerata un faro per tutti noi, nessuno escluso: siamo chiamati a proteggere e difendere la lingua italiana, il che non significa rimanere chiusi nel nostro piccolo baluardo, ottusi verso il resto del mondo; semplicemente vuole intendere che accanto alla lingua degli scambi internazionali per eccellenza, l’inglese, dobbiamo sempre e comunque tutelare il valore del nostro lessico nazionale con le sue mille sfaccettature e le diverse sfumature.
Si consideri, inoltre, che uno dei principi ispiratori dell’Unione Europea è “uniti nella diversità” e le lingue ufficiali sono ben 24 e non tre (inglese, francese e tedesco) come si potrebbe pensare: nessuna delle lingue ufficiali prevale sull’altre, tutte hanno pari dignità e importanza.
L’italiano è una lingua abbastanza giovane, il suo consolidamento a livello nazionale è recente ed è stato il risultato di un lungo percorso, culminato con la capillare diffusione dei mezzi di comunicazione (radio e televisione) che l’hanno fatta diventare la lingua del popolo e non solo la lingua dei dotti o della legge, riservata a pochi eletti.
Nonostante questa giovinezza, il declino è in agguato e sta a noi proteggerla; la sopravvivenza di una lingua è sempre rimessa alla volontà del suo popolo: essa vivrà sin tanto che verrà parlata, scritta e valorizzata come patrimonio d’identità, storia e cultura.