Il nostro mondo è ostaggio del nuovo corona virus-19, ma un pensiero speciale è riservato alla Città nata sull’acqua, splendida, unica e fragile come nessun’altra, connotata da una peculiare forza che le consentirà ancora una volta di risollevarsi: è sufficiente che ripensi alla propria Storia.
Le devastanti epidemie di peste che dilagarono nell’Europa trecentesca decimarono la popolazione: dalle stime di Papa Clemente V pare che il batterio dell’Yersina Pestis uccise circa 23.840.000 persone. Gli Stati di allora erano impotenti di fronte alla malattia di cui non potevano conoscere sia le cause, sia le cure, essendo la scienza medica non ancora in grado di rispondere.
Già intorno alla metà del 1300 Venezia intraprese una via innovativa per arginare i contagi, nominando un Consiglio di tre Provveditori incaricati di isolare navi, persone e beni infetti, confinandoli in un’isola disabitata della laguna; inoltre, murarono le case dei contagiati e chiusero intere zone della città, inibite per mesi all’accesso da parte dei cittadini.
A fronte di tali restrizioni, il Maggior Consiglio, ben consapevole che l’economia veneziana si reggeva sul commercio, avviò una serie di forti manovre economiche per rilanciare l’economia, compreso un robusto pacchetto di sgravi fiscali.
Le pestilenze si ripresentavano con cadenza regolare e Venezia fu pronta a intervenire con misure sempre più restrittive, imponendo severe norme igieniche e sanitarie: i Provveditori vigilavano sulla pulizia delle case, vietavano la vendita di alimentari pericolosi, chiudevano Chiese, luoghi pubblici e si evitavano gli assembramenti.
I contagiati venivano ricoverati nel Lazzaretto Vecchio, mentre chi era stato a contatto con i malati era trattenuto per venti giorni in altre strutture appositamente allestite; le navi che entravano in laguna dovevano rispettare un periodo di quarantena alla fonda prima di poter accedere alla città.
Come sempre Venezia, dimostrava di precorrere i tempi e la modernità: per la prima volta si assisteva a un tentativo di medicina preventiva attraverso misure sociali.
Per garantire il rispetto delle normative in materia sanitaria, la Serenissima era piuttosto drastica: pare che in una nave fosse stata issata una forca per far giustiziare i trasgressori e chi ospitava persone contagiate veniva condannato alla reclusione e al pagamento di una multa.
Sono passati più di seicento anni, ma lo spirito della Serenissima non è molto cambiato: la Regione Veneto nella gestione l’emergenza Covid 19 ha reagito con tempestività e rapidità, usufruendo di tutte le risorse a sua disposizione; in pochi giorni sono stati convertiti interi ospedali in Covid Hospital, unità complesse dedicate alla cura dei pazienti affetti da SARS-CoV-2 (la sindrome respiratoria acuta che identifica appunto la Coronavirus disease – 19), è stato predisposto l’allestimento di centinaia di nuove postazioni di terapia intensiva e sub intensiva, oltre a sottoporre sanitari e popolazione a migliaia di tamponi per verificare la presenza della malattia, individuando i “portatori sani”, i quali ospitano il corona virus senza alcuna sintomatologia rappresentando la principale sorgente di contagio.
Anche il Governo ha emesso una serie di provvedimenti restrittivi, i quali spaziano dalla limitazione della libertà di circolazione dei cittadini, alla chiusura di tutti i servizi e attività imprenditoriali non ritenuti essenziali. I cittadini sono di fatto obbligati a rimanere a casa, potendo uscire soltanto per comprovate esigenze di lavoro o per necessità ed è vietato qualsiasi tipo di assembramento, oltre a essere sollecitate ripetute pratiche igieniche come il lavaggio delle mani.
I giuristi si sono subito interrogati sulla legittimità di tali provvedimenti, così fortemente limitanti le libertà costituzionalmente garantite: le norme di riferimento sono gli artt. 16 e 17 della Costituzione, rispettivamente riferiti alla libertà di circolazione e di riunione. L’art. 16 espressamente consente limitazioni in via generale della libera circolazione per “motivi di sanità e sicurezza”: non è dubitabile che l’attuale situazione di pandemia giustifichi l’adozione di provvedimenti restrittivi per motivi di salute pubblica e sicurezza al fine di limitare il contagio.
Sono ravvisabili anche i presupposti di necessità e urgenza in ragione dei quali il Governo ha emanato il Decreto Legge del 23 febbraio 2020 n. 6 convertito in legge n. 13 del 5 marzo 2020: per capire il profilo giuridico, è necessario richiamare l’art. 77 della Costituzione, in tema di decretazione d’urgenza. La norma consente al Governo in casi straordinari – connotati appunti dallo stato di necessità e dall’urgenza – di emanare provvedimenti aventi forza di legge ordinaria, i quali rimangono in vigore soltanto se convertiti in legge dal Parlamento entro sessata giorni dalla loro pubblicazione. In mancanza, il decreto decade e rimane privo di effetti.
Il decreto del 23 febbraio 2020 n. 6 ha definito la cornice giuridica delle norme in tema di Emergenza Covid 19, atteso che i successivi provvedimenti sono stati emanati nella forma del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) o dei singoli Ministri, mentre è in fase di conversione il D. L. del 25 marzo 2020 n. 19.
Secondo un’interessante riflessione del Prof. Azzariti Ordinario di Diritto Costituzionale dell’Università La Sapienza di Roma, i DPCM non possono essere considerati atti contrari alla Costituzione, poiché emanati in un’evidente e comprovata situazione di stato di necessità e finalizzati alla tutela del diritto alla salute dei cittadini (garantito dall’art. 32 Cost.), tuttavia, deve essere ben chiaro il limite temporale delle restrizioni delle libertà personali: scaduto tale limite i diritti inviolabili compressi tornano nella loro piena integrità.
E’ auspicio condiviso da tutti la rapida e definitiva soluzione di questa emergenza, la quale porterà inevitabilmente pesantissimi risvolti economici, che dovranno essere fronteggiati con misure severe a sostegno di tutti, compresi i professionisti, troppo spesso esclusi in ragione di radicati preconcetti di “casta” connotata da floride situazioni patrimoniali: purtroppo, è noto come tali convinzioni siano da tempo molto distanti dalla realtà.
Uniti ce la faremo e, quando sarà finita, Venezia merita un omaggio, una visita magari con sosta alla meravigliosa Basilica dedicata alla Madonna della Salute voluta dal Doge Nicolò Contarini nel 1630, quale tributo per la liberazione della città dall’ennesima pestilenza: sarà un’occasione per riscoprire la bellezza dell’indomita Serenissima pronta a risollevarsi e risplendere ancora una volta.