Nell’ottobre 1894 Alfred Dreyfus Capitano d’Artiglieria dello Stato Maggiore dell’Esercito francese, ebreo alsaziano, venne arrestato con l’accusa di alto tradimento, sospettato di aver fornito ai militari prussiani informazioni riservate.
L’indagine ebbe inizio quando un’addetta alle pulizie presso l’Ambasciata tedesca a Parigi, all’atto di ripulire uno dei cestini degli uffici, ritrovò una lista (chiamata “bordereau”) contenente cinque documenti segreti che l’anonimo mittente offriva in vendita ai tedeschi.
La donna, che in realtà faceva parte del controspionaggio, consegnò il bordereau agli Ufficiali francesi: dato il particolare contenuto del documento, i sospetti si concentrarono subito attorno a pochi ufficiali. La necessità di una rapida individuazione del colpevole portò a una sbrigativa e sommaria indagine, tutta basata su una superficiale perizia calligrafica, secondo cui la scrittura del documento apparteneva al Capitano Dreyfus.
Processato in pochi mesi, Alfred Dreyfus, nonostante avesse professato la propria innocenza e totale estraneità ai fatti, fu condannato all’ergastolo, degradato ritualmente davanti a truppe schierate, la sua sciabola spezzata e deportato nell’Isola del Diavolo, sperduta nella Guyana francese: per la Repubblica l’onta del tradimento era stata lavata e nessuno avrebbe più sentito parlare di quell’Ufficiale ebreo alsaziano.
Passarono un paio d’anni durante i quali vennero più volte reiterate le richieste di un approfondimento d’indagine da parte dei familiari di Dreyfus, ma per l’apparato militare il caso era da considerarsi definitivamente chiuso.
Inaspettatamente le circostanze mutarono: all’epoca il Colonello George Picquart era stato nominato a capo del Servizio Informazioni dello Stato Maggiore; per una pura coincidenza Picquart intercettò la missiva di un Ufficiale prussiano indirizzata al Maggiore dell’esercito francese Ferdinand Walsin Esterhazy, di nobili (ma decadute) origini ungheresi.
Immediatamente Picquart ripensò ai fatti che portarono alla condanna di Dreyfus e ottenne di poter visionare il fascicolo secretato: dai documenti agli atti risultava evidente che la calligrafia del bordereau era stata erroneamente attribuita a Dreyfus, atteso che invece palesemente inchiodava Esterhazy.
Picquart riferì ai suoi superiori le proprie scoperte: gli Alti Ufficiali dell’esercito francese non si rivelarono affatto entusiasti di riconsiderare il caso dell’Ufficiale ebreo, condannato e deportato. La ragion di Stato e il potere del corpo militare francese non potevano piegarsi ad ammettere che la condanna di Dreyfus fosse un clamoroso errore giudiziario.
Per tale ragione, nonostante le evidenze probatorie, Esterhazy sottoposto a processo venne assolto.
Il clamore per l’assoluzione portò alla pubblicazione in due famosi quotidiani di alcuni documenti segreti del fascicolo Dreyfus, da cui risultava la diversità della calligrafia di tali scritti rispetto a quella del condannato.
Il richiesta di verità dilagò e divise nettamente nell’opinione pubblica tra innocentisti e colpevolisti, coinvolgendo anche gli ambienti intellettuali maggiormente inclini a sostenere l’innocenza di Dreyfus.
La svolta avvenne il 13 gennaio 1898, quando il quotidiano L’Aurore pubblicò una lettera aperta dello scrittore Emile Zola, rivolta al Presidente della Repubblica francese: si trattava di un vero e proprio atto d’accusa, sostenuto dal celebre “J’accuse…” (io accuso), rivolto a ognuno dei responsabili dell’Affaire Dreyfus: il testo di Zola ebbe un effetto dirompente e scosse le coscienze, svelando la verità sulle macchinazioni di un’indagine scellerata e assolutamente parziale, sulle dichiarazioni fraudolente e menzognere dei periti, nonché sull’insabbiamento agli occhi dell’opinione pubblica.
Quell’edizione del quotidiano vendette oltre 300.000 copie (di media ne vendeva 20.000 al giorno) e la verità irruppe fragorosa anche in sede giudiziaria: Esterhazy confessò di essere la spia, Dreyfus ottenne la revisione del processo, ma il potere della Ragion di Stato non intendeva ancora cedere il passo alla giustizia e, incredibilmente, Dreyfus venne nuovamente condannato in primo grado per essere poi definitivamente assolto in appello con immediata reintegrazione nell’esercito.
Il J’accuse di Zola è sempre attuale, merita di essere letto e ricordato, non solo come alto grido di libertà, ma anche quale espressione del valore assoluto della verità e della giustizia.