Da tempo la giurisprudenza ha riconosciuto che gli animali sono esseri viventi dotati di una propria sensibilità psico-fisica, mentre l’ordinamento italiano, con un articolato percorso normativo, ha emanato leggi sempre più stringenti a tutela e protezione degli animali.
Si deve, tuttavia, precisare che l’animale, pur riconosciuto come “essere senziente”, non può godere di diritti propri, poiché privo della “capacità giuridica”, intesa come quell’attitudine a essere titolari di diritti e obblighi e che le persone fisiche acquistano con la nascita.
L’animale sarebbe il “beneficiario” della norme protettive, tra le quali spicca il divieto di uccisione e di maltrattamento, sanzionato dagli artt. 544 bis e ter C.p., che prevedono sanzioni severe sia di natura detentiva, sia pecuniaria con multe di migliaia di euro.
Il disvalore sociale di questi delitti è evidente, essendo entrambi connotati dalla crudeltà della condotta, definita dalla Cassazione come quel comportamento spinto da un motivo abbietto o futile, oppure che si riveli espressione di particolare compiacimento o di insensibilità. Questi reati sono perseguibili d’ufficio: significa che l’autorità giudiziaria avvierà il procedimento penale nel momento in cui riceverà la notizia di reato, indipendentemente dalla proposizione della querela da parte della persona offesa.
Secondo alcuni studi criminologici statunitensi, il maltrattamento di animali d’affezione è considerato un elemento indicativo della personalità, atteso che i soggetti che si macchiano di tali reati statisticamente presentano una capacità a delinquere più spiccata rispetto agli altri.
Essere proprietari di un cane, un gatto o qualsiasi altro animale d’affezione impone una serie di obblighi di cura ben specificati nella Legge 281/1991: si dovrà rifornirlo di cibo e acqua, assicurare le cure veterinarie, garantire spazi per l’esercizio fisico, predisporre le precauzioni necessarie per evitare la fuga.
Dal 2005 ogni cane dovrà essere dotato di un microchip che consenta di risalire al proprietario: le finalità della norma sono molteplici, tra queste ricordiamo il contrasto all’abbandono dei cani nei mesi estivi, pratica scellerata ancora troppo diffusa.
Purtroppo, nonostante le numerose e incisive campagne di dissuasione, i dati sull’abbandono dei cani sono ancora elevati e sconfortanti: si pensi che, nel nostro paese, soltanto nel fine settimana dal 30 maggio al due giugno 2020 le segnalazioni sono state più di trecentocinquanta e, secondo il Ministero della Salute, il numero è in costante aumento.
Chi abbandona un animale si macchia di una condotta spregevole, esponendo consapevolmente un essere vivente a gravi sofferenze, se non alla morte, per cui rimane l’auspicio di una precisa e solerte applicazione delle severe sanzioni previste dall’art. 727 C.p., che prevede l’arresto sino a un anno o una multa da 1.000,00 a 10.000,00 euro.
Infine, merita un cenno la disciplina civilistica: secondo l’art. 2052 C.c. il proprietario sarà sempre responsabile per i danni provocati dal proprio animale, salvo riesca a provare il caso fortuito; si tratta di dimostrare l’esistenza di un fattore esterno, che presenti i caratteri dell’imprevedibilità, dell’inevitabilità e della assoluta eccezionalità, il quale sia stato determinante nella causazione del danno. Nella pratica delle aule giudiziarie è una circostanza molto difficile da provare: per tali ragioni si raccomanda di prestare la massima attenzione nella custodia delle bestiole, mentre a protezione del patrimonio si potrà optare per la stipula una polizza assicurativa a garanzia delle richieste risarcitorie per danni provocati dal proprio amatissimo animale.