Germania. Marzo 1939. Lilly Cassier Neubauer, erede della famiglia ebrea Cassier, per salvarsi dalle persecuzioni naziste è costretta a cedere uno dei suoi beni più preziosi: si tratta del celebre olio su tela “Rue Saint-Honoré in Après midi, Effet de pluie”, dell’impressionista Camille Pisarro. Il prezzo pagato per il capolavoro, oggi valutato più di trenta milioni di euro, fu davvero irrisorio, considerato che vennero consegnati soltanto un paio di visti per l’espatrio ed accreditati su un conto corrente bloccato RM 300,00.
Lilly Cassier e il nipote Klaus si salvarono dall’odio nazista e dopo un viaggio rocambolesco attraverso l’Inghilterra, si rifugiarono negli Stati Uniti, dove il nipote assunse il nome di Claude Cassier.
Finita la guerra, Lilly Cassier cercò di recuperare il quadro, ma non ne trovò mai alcuna traccia, per cui, nella convinzione che il dipinto fosse andato distrutto, nel 1959 accettò dal Governo tedesco un indennizzo di $ 13,000.00, apparentemente senza aver rinunciato all’eventualità di ritrovare l’opera d’arte e rientrarne in possesso.
Lilly Cassier morì a Cleveland, Ohio, nel 1962 e per quarant’anni del dipinto non si seppe più nulla, sino a quando nel 2005, il nipote Claude Cassier quasi per caso scoprì che il capolavoro era – ed è tutt’ora – esposto nel Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid.
Si accertò che il quadro fu acquistato dal Governo spagnolo nel 1993, insieme all’intera Collezione d’arte del Barone Hans Heinric Thyssen-Bornemisza, il quale a sua volta aveva acquistato il dipinto di Pisarro nel 1976 dalla Hahn Gallery di New York.
Claude Cassier avviò un lungo e complesso procedimento giudiziario, ancora pendente, nei confronti della Spagna per ottenere la restituzione del dipinto: la vertenza si snoda su diversi piani giuridici che spaziano dalle questioni attinenti alla giurisdizione, alla legislazione applicabile e infine alla decisione sul merito.
Ma in gioco vi è molto di più: si tratta dei principi etici e morali che impongono la restituzione delle opere rubate dai nazisti ai legittimi proprietari, nonché all’osservanza delle regole di buona fede, correttezza e trasparenza dettate per il buon funzionamento del mercato, le quali mai possono prescindere dall’esecuzione di un adeguato e puntuale accertamento sulla provenienza e autenticità delle opere d’arte.
Nel caso dell’acquisto del capolavoro appartenuto alla famiglia Cassier, i soggetti che ne vennero in possesso avrebbero dovuto effettuare accertamenti ben più approfonditi circa la provenienza del dipinto, poiché vi erano diverse “Red flags”, ovvero indizi ed elementi, in ragione dei quali sarebbe stato opportuno effettuare maggiori verifiche.
In particolare, sarebbe bastato prestare attenzione alle etichette, parzialmente rimosse dal retro del quadro, dalle quali ancora si poteva evincere che l’opera proveniva da Berlino e si sarebbe anche potuti risalire alla Galleria di Bruno e Paul Cassier, proprietari del dipinto prima della guerra.
Pare che la Hahn Gallery al momento della vendita avesse omesso di approfondire questi aspetti sulla provenienza, ai quali neppure il Barone Thyssen-Bornemisza prestò attenzione, nonostante fisse un collezionista esperto.
Inoltre, si doveva considerare come fossero ben noti e provati i numerosi saccheggi perpetrati dai nazisti a danno sia degli Stati occupati sia dei privati.
Ma torniamo alla nostra storia: il Tribunale Federale di Los Angeles, escludendo l’applicazione del FSIA (Foreign Sovereing Immunities Act), secondo cui gli Stati stranieri non potrebbero essere sottoposti alla giurisdizione americana, riconobbe la Giurisdizione del Tribunale Federale, il quale applicando le norme federali decise che la questione dovesse essere regolata dal diritto privato spagnolo.
In ragione di tali norme, la Corte Federale ritenne che il Museo spagnolo fosse il proprietario dal dipinto, sulla base del possesso continuato per un periodo di almeno sei anni, indipendentemente dall’eventuale provenienza illecita del bene.
I legali della famiglia Cassier appellarono la sentenza di primo grado, contestando la decisione anche sotto il profilo della mancata due diligence, intesa come quell’insieme di accertamenti tesi ad verificare e confermare l’autenticità e provenienza delle opere d’arte, sia da parte del Barone Von Thyssen-Bornemisza nel 1976, sia del Museo spagnolo nel 1993.
La decisione della Corte d’Appello confermò la sentenza di primo grado, precisando, altresì, che né il Barone né il Museo all’atto dell’acquisto del quadro avessero allora conoscenza del fatto che si trattasse di un bene rubato.
La svolta del caso risale all’aprile 2022, quanto la Corte Suprema degli Stati Uniti ha accolto l’ultima impugnazione proposta dalla famiglia Cassier, pronunciando una sentenza che potrebbe ribaltare il caso: il Giudice Elena Kagan ha affermato “A foreign state or instrumentality… is liable just as a private party would be. That means the standard choice-of-law rule must apply.” (Uno Stato o ente straniero… è responsabile proprio come lo sarebbe un privato. Ciò significa che deve essere applicata la norma standard sulla scelta della legge). La Corte Suprema all’unanimità ha ritenuto che le norme sulla scelta della legge debbano rispecchiare anche le norme che si applicherebbero in un’analoga causa tra parti private.
Quando il tribunale di grado inferiore ha applicato le norme federali sulla scelta della legge spagnola- ha stabilito il Giudice Kagan – si è creata una discrepanza tra la responsabilità della fondazione (Museo spagnolo) e quella di un imputato privato.
Quindi, se nel prossimo giudizio di rinvio i Giudici riterranno applicabile la normativa californiana, con buone probabilità i Cassier potrebbero uscire vittoriosi dall’annosa vertenza, atteso per l’ordinamento giuridico stantunitense nessuno può trasferire un diritto ad altri se non ne è il titolare, per cui nessuna opera rubata razziata potrà essere acquistata da un terzo.
Questo complesso caso giudiziario si intreccia con i principi etici e morali riconosciuti dalla Conferenza di Washington del 1998, applicabili alle opere confiscate dai nazisti. Tali principi, pur non avendo valore precettivo, dovrebbero illuminare le scelte dei possessori di opere d’arte di dubbia provenienza, affinché si promuova la restituzione dei beni sottratti ai legittimi proprietari durante la Seconda guerra mondiale, o comunque, si sostenga la conclusione di accordi che possano avere anche un valore riparatorio rispetto ai gravi torti subiti.