Devastante incendio a Notre-Dame de Paris

Brucia Notre-Dame. Brucia un pezzo di storia. Brucia uno dei simboli più evocativi e identitari dell’Europa.

Il mondo è incollato ai teleschermi attonito, affranto, impotente di fronte alla distruzione e alla furia del fuoco.

Questa sera intorno alle 19,00 un terribile incendio è divampato nella zona superiore della Cattedrale dove erano in corso dei  lavori di ristrutturazione.

Pare che per almeno un’ora nessuno si sia accorto di nulla e l’intervento dei vigili del fuoco dopo quasi tre ore fatica a domare l’incendio che ha avuto presa facile sulla struttura in legno vecchia di secoli, anche la guglia è crollata .

Guglia infuocata e poi crollata di Notre Dame

Troppo antica Notre-Dame con i suoi 800 anni di storia per sopportare la potenza di getto dei Canadair: l’alta pressione delle migliaia di litri d’acqua  danneggerebbe irrimediabilmente la struttura della Cattedrale.

Il rischio ora che il fuoco aggredisca l’interno dove sono conservati un pregiato organo antico oltre a importanti opere d’arte.

Le ultimissime immagini aeree scattate da un drone mostrano una devastazione assoluta: pare vi sia il concreto pericolo di un crollo, in quanto la struttura in legno è completamente distrutta e aumentano i rischi anche per i soccorritori.

Nessuno avrebbe potuto immaginare di perdere un patrimonio dell’umanità come Nostre Dame in poche ore.

Alle 22,00 tutte le campane di Parigi hanno iniziato a suonare, ma mancherà il canto di quella più antica: oggi nulla hanno potuto i mostruosi Gargoyle che per secoli hanno silenziosamente vegliato la loro Cattedrale e la sottostante Ville Lumrére.

Campana di Notre Dame 

Una riflessione: stiamo realmente proteggendo e custodendo con la cura dovuta la grande bellezza che nostra storia ci ha lasciato? … questa sera pare proprio di no.

L'immagine raffigura un altro dei Gargoyle di Notre Dame

Gargoyle di Notre Dame

 

 

Per approfondire:

La sfera della discordia

New York, 15 novembre 2017, Christie’s mette all’asta il Salvator Mundi, l’ultima opera attribuita a Leonardo da Vinci, l’unica a essere mai appartenuta a un privato: il prezzo di vendita sbaraglia ogni record precedente, oltre 450 milioni di dollari.

La notizia della vendita ebbe un’eco planetaria e la stampa si attivò subito per scoprire chi fosse il facoltoso aggiudicatario del dipinto (olio su tavola 66 x 46 cm): le indiscrezioni portavano a  un ricco principe Saudita; dopo qualche settimana il  Presidente del Dipartimento Cultura e Turismo degli Emirati Arabi annunciò l’acquisto dell’opera, dichiarando: “Il Salvator Mundi evidenzia la natura inclusiva del Louvre Abu Dhabi e la missione di Abu Dhabi di farsi promotore di un messaggio di tolleranza e apertura. I visitatori avranno un’opportunità unica per farsi coinvolgere da un’opera rara e iconica, dal grande significato culturale. Dopo essere rimasto per così tanto tempo in mani private, il capolavoro di Leonardo Da Vinci è ora il nostro regalo per il mondo. Appartiene a tutti noi, e tutti noi avremo l’opportunità di testimoniare la maestria di uno degli artisti più significativi della storia.”

Il dipinto sarebbe dovuto essere collocato al Louvre di Abu Dhabi dal settembre 2018, con l’accordo di concedere l’opera in prestito al Louvre di Parigi in occasione della grande mostra allestita per l’anniversario dei 500 anni dalla morte di Leonardo, la cui inaugurazione è prevista per il prossimo settembre.

L'immagine rappresenta il Louvre Abu Dhabi

Il Louvre Abu Dhabi

I mesi sono trascorsi senza che il Salvator Mundi sia mai stato esposto al pubblico: il mistero si è infittito quando alla fine di marzo il New York Times ha dato la notizia dell’irreperibilità del capolavoro Leonardesco. Secondo fonti non ufficiali i francesi, che attendevano l’opera a breve, non hanno contezza di dove si trovi e se mai potrà essere adempiuto l’impegno del prestito in vista dell’imminente tributo al genio fiorentino; neppure le fonti ufficiose del museo arabo sarebbero a conoscenza di dove il quadro sia finito.

Alcune indiscrezioni non confermate raccontano che l’opera potrebbe trovarsi in Svizzera, per ulteriori accertamenti circa l’autenticità: l’attribuzione del Salvator Mundi a Leonardo è stata particolarmente travagliata e non tutti gli studiosi concordano con questa decisione, rappresentando ragioni diverse a sostegno delle varie tesi.

Lo scrittore americano Walter Isaacson (già autore della biografia di Steve Jobs) di recente ha pubblicato un libro “Leonardo da Vinci: the Biography”, nel quale si sollevano dubbi circa la paternità dell’opera; in particolare, si evidenzia come il dipinto presenti un errore a dir poco “grossolano”, che il genio fiorentino mai avrebbe commesso: secondo l’autore, la sfera tenuta da Cristo sulla mano sinistra è tecnicamente perfetta, ma non lo è ciò che si vede in trasparenza, in quanto i panneggi e il braccio non sarebbero deformati come invece dovrebbero essere a causa dell’illusione ottica provocata dalla forma sferica.

L'immagine rappresenta la sfera tenuta in mano dal Salvator Mundi

Dettagli Salvator Mundi, la sfera

Anche lo studioso Frank Zöllner ha sollevato dubbi circa la paternità del quadro, affermando: «I toni carnali della mano benedicente appaiono pallidi e si colorano come in molti dipinti di bottega. Anche i riccioli di Cristo sembrano troppo schematici nell’esecuzione»; dello stesso avviso Matthew Landrus, ricercatore presso il Wolfson College di Oxford, famoso studioso di Leonardo, secondo il quale l’opera sarebbe il frutto della mano di Bernardino Luini viste le numerose somiglianze stilistiche con altri lavori di questo artista rinascimentale.

L'immagine rappresenta il Salvator Mundi dipinto da Bernardino Luini

Salvator Mundi di Bernardino Luini

Ma cosa accade in caso di vendita di un’opera d’arte non autentica? Tralasciando quelle che possono essere le varie condizioni contrattuali dell’aggiudicazione in asta del Salvator Mundi, in linea generale la giurisprudenza italiana si è espressa di recente, affermando che la cessione di un’opera d’arte falsamente attribuita a un artista che in realtà non ne è stato l’autore costituisce un’ipotesi di vendita di “aliud pro alio” che legittima l’acquirente a chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento del venditore, con conseguente restituzione del prezzo ed eventuale risarcimento del danno.

La vendita “aliud pro alio” ricorre quando all’acquirente sia consegnato un bene completamente diverso dal quello pattuito: questo avviene nell’ipotesi in cui  la cosa appartenga a un genere totalmente diverso da quello concordato, ma anche quando il bene sia privo delle particolari qualità necessarie, affinché possa assolvere la sua funzione economico-sociale, intesa come quella funzione che le parti abbiano assunto come essenziale. L’attribuzione di un’opera d’arte a un determinato artista è certamente una qualità essenziale e necessaria del bene, alla quale sono associati rilevanti, se non determinanti, risvolti sotto il profilo del valore commerciale.

Il caso del Salvator Mundi è certamente particolare rispetto alle norme generali ma, quand’anche la diatriba sulla paternità sia ben lungi dall’essere risolta, rimane un capolavoro appartenente all’umanità che attende di poter ammirare ancora una volta i livelli di eccellenza e perfezione raggiunti nel Rinascimento.

L'immagine rappresenta l'autoritratto di Leonardo

Autoritratto di Leonardo da Vinci

Per approfondire:

www.finistresullarte.it, “Il Louvre Abu Dhabi non sa che fine ha fatto il Salvator Mundi (e non è un pesce d’aprile)

https://www.huffingtonpost.it, “La scoperta di un errore grossolano nel “Salvator Mundi” di Leonardo mette in discussione la paternità dell’opera” di Selene Gagliardi

https://www.nytimes.com/2019/03/30/arts

https://www.huffingtonpost.it/2017/10/19/la-scoperta-di-un-errore-grossolano-nel-salvator-mundi-di-leonardo-mette-in-discussione-la-paternita-dellopera_a_23248511/

G. Chiné M. Fratini A. Zoppini “Manuale di Diritto Civile” Nel Diritto Edizioni 2013

Tribunale di Pescara sentenza n. 915 del 25 aprile 2016

Corte di Cassazione, Sez. II, sentenza n. 21012 del 31 dicembre 2018

L’eleganza della Modernità

“La modernità è il transitorio, il fuggitivo, la metà dell’arte la cui altra metà è l’eterno e l’immutabile” Charles Baudelaire

Il transitorio e il fuggitivo furono i tratti distintivi della  spasmodica ricerca di eleganza e  bellezza nella  Parigi che si accingeva a varcare la soglia del ventesimo secolo: fu allora che si consacrò il legame tra arte e moda, ancora vivente.

John Galliano per Christian Dior Houte Couture autunno inverno 2005 Parigi

John Galliano per Christian Dior Houte Couture autunno inverno 2005, Parigi

Lo spirito della Belle Epoque è ben rappresentato dall’interessante mostra dedicata a “Boldini e la Moda” allestita nel cinquecentesco Palazzo dei Diamanti a Ferrara: l’esposizione è un raffinato equilibrio tra la storia del costume di quegli anni e l’arte del maestro ferrarese, il quale attinse a piene mani dal mondo dei più celebri coutourier francesi, le cui creazioni erano tanto protagoniste delle opere quanto la modella che li indossava.

Boldini ritratto della Contessa Speranza

Boldini ritratto della Contessa Speranza

Giovanni Boldini  più di ogni altro colse il cambiamento  per la ricerca e valorizzazione di una femminilità più libera: le pose erano naturali ma guizzanti di una tensione seducente,  i colli lunghi, le spalle lasciate scoperte da irriverenti spalline che cadevano con studiata nonchalance, gli sguardi languidi su sorrisi appena accennati. Le sue “fammes” erano la rappresentazione della vera “Parisienne” (la parigina) ovvero la donna immagine di eleganza, stile  e bellezza.

Boldini in copertina sulla rivista Les Modes

Il successo di Boldini fu clamoroso: le signore dell’alta società, le più celebri attrici, ballerine e cantanti, tutte  ambivano essere ritratte dal maestro ferrarese e tutte furono vere professioniste della bellezza.

L'immagine raffigura il dipinto di Giovanni Boldini Giovane donna di profilo Eleonora Duse

Giovanni Boldini Giovane donna di profilo Eleonora Duse

Tra le “Divine” di Boldini  – così vennero definite – ammiriamo una giovanissima Eleonora Duse, raffigurata di profilo, la cantante Lina Cavalieri, descritta da Gabriele d’Annunzio nella sua opera “Il piacere” come “la massima testimonianza di Venere in Terra”, l’eccentrica marchesa Luisa Casati, la quale per tutta la vita ambì a vivere come “un’opera d’arte”.

Boldini ritratto di Lina Cavalieri

Boldini ritratto di Lina Cavalieri

Famosa fu la committenza da parte del marito della bellissima nobile siciliana Franca Florio: Boldini la raffigurò avvolta in un lungo abito di velluto di seta nera dalla generosa scollatura con una lunga collana di perle. La prima versione del quadro con la silhouette slanciata, la vita ben evidenziata  e la posa molto sensuale non venne ritenuta consona al lignaggio della dama; il dipinto fu accettato dal committente soltanto dopo ripetute correzioni e rivisitazioni.

Bodini ritratto Franca Florio

Boldini ritratto Franca Florio

 

La diffusione della cultura della moda divenne il mezzo scelto dalle signore per apparire e ottenere  l’ambita visibilità sociale: la donna divenne  un’opera d’arte da abbigliare con regole precise a seconda delle occasioni, il vestito, il trucco, il cappello, le scarpe, il ventaglio di piume; tutto doveva essere unico e perfetto.

Ventaglio epoca Belle Epoque

Ventaglio epoca Belle Epoque

Neppure gli uomini rimasero inerti di fronte al cambiamento:  i “dandy” furono l’espressione di questa ricercatezza nel vestire, rivolgendo la massima attenzione all’estetica complessiva della persona, poiché erano oggetto di grande cura e anche il comportamento e la raffinatezza della conversazione, come ben rappresentato nel ritratto del Marchese Robert de Montesquiou-Fézensac, icona del dandismo continentale.

Boldini ritrattL'immagine raffigura il ritratto del "Il conte Robert de Montesquiou Fézensac"

Boldini ritratto de “Il conte Robert de Montesquiou Fézensac”

Giovanni Boldini aprì la via della modernità, creando quel file rouge tra arte e moda  che pose la sconsiderata bellezza delle “Divine” al centro non solo della sua arte, ma della vita stessa: lui soltanto riuscì a  conferire alle proprie donne “l’apparenza di essere vestite”. Ancora oggi il potere evocativo e fortemente seduttivo di quei ritratti non è stato scalfito dal tempo e il fuggevole pensiero di come sarebbe stato essere la musa del Maestro ha attraversato la mente di molte, immaginando di veder  fissato sulla tela quell’attimo di assoluta, eterea, eterna bellezza.

L'immagine raffigura un ritratto di Boldini

Boldini ritratto

Per approfondire:

“Boldini e la Moda” Ferrara, Palazzo dei Diamanti 16 febbraio/2 giugno 2019  Catalogo Ufficiale, a cura di Barbara Guidi con la collaborazione di Virginia Hill; https://www.ildirittoperfetto.it/limmortale-eterea-bellezza/

I diamanti della Pantera Rosa

Tratto da una storia vera: la Pantera Rosa esiste, anche se non siamo a Hollywood, non c’è la musica di Henry Mancini e neppure l’ispettore Clouseau, ma i diamanti e i gioielli da capogiro sono assolutamente autentici.

La vicenda potrebbe essere la trama di un film stile Ocean’s Eleven, ma qui non ci sono George Clooney, né Brad Pitt e i fatti sono tutti realmente accaduti.

Cast del film Ocean's Eleven

Cast del film Ocean’s Eleven

Londra, 2003, in una lussuosa gioielleria del quartiere Myfair entra un uomo elegantemente vestito e senza lasciare alcun tempo di reazione al personale estrae una Magnum 357, facendosi consegnare gioielli e diamanti per un valore di oltre 13 milioni di sterline. Arraffato il bottino, bastano pochi secondi affinché l’uomo si dilegui senza colpo ferire.

Scotland Yard prontamente indaga, le tracce portano all’appartamento di un complice, dove si  recupera solo parte delle pietre preziose: tra queste un diamante azzurro nascosto in vasetto di crema per il viso, esattamente come nel film “Il ritorno della pantera rosa” di Blake Edwards.

Diamante azzurro bottino della Pantera Rosa

Diamante azzurro bottino della Pantera Rosa

Da quel momento, la banda viene ribattezzata “The Pink Panthers”. I malviventi apprezzano l’appellativo e firmano la successiva rapina di Zurigo indossando una maglietta rosa.

Ben presto, l’Interpool e le forze dell’ordine di mezza Europa si rendono conto di trovarsi di fronte a un fenomeno criminale molto particolare: i Pink Panthers sono un’organizzazione di rapinatori – il numero stimato è di circa 200 persone – composta da ex militari serbi ed ex componenti delle forze speciali, i quali agiscono con strategie militari e tecniche d’assalto, utilizzando sofisticatissime tecnologie. Ma non c’è solo questo: i componenti della banda parlano fluentemente  diverse lingue, sono abilissimi nel travestimento, esperti in gemmologia e conoscono alla perfezione il mondo dell’orologeria di lusso, come se avessero seguito un percorso di formazione specializzato, nel camuffamento, nelle azioni rapide col minimo dispendio di vite umane; insomma, gente delle Forze Speciali che ogni esercito coltiva e custodisce segretamente.

Non rapinano banche o uffici postali, negli anni hanno colpito quasi in tutta Europa: a Cannes quando rapinarono Van Cleef & Arpels si erano presentati come golfisti, ma le loro sacche da golf non contenevano le mazze, bensì pietre con cui mandarono in frantumi le vetrine del negozio.  A Dubai, entrarono nel centro commerciale Wafi Mall con una limousine e due auto civetta e in 90 secondi s’impossessarono di gioielli e orologi per oltre 11 milioni di dollari.

L'immagine raffigura dei diamanti

Diamanti

Nel 2013 misero a segno un colpo colossale presso l’Hotel Carlton di Cannes, dove in trenta secondi rubarono gioielli e diamanti per un controvalore di 136 milioni di euro, sempre senza colpo ferire.

La spettacolarità delle loro azioni, sempre rapidissime: tempo massino uno o due minuti; la strategia studiata nei minimi dettagli: a Biarritz dipinsero  una panchina e la vernice fresca impedì che qualcuno potesse sedersi ed essere testimone del colpo; le fughe rocambolesche su una Vespa a Londra, o in motoscafo stile James Bond in Costa Azzurra, hanno curiosamente portato il popolo serbo a  considerarli “eroi”.

Hotel Carlton a Cannes

Hotel Carlton, Cannes

Tralasciando tutto questo colore e il fascino di Arsenio Lupin in versione moderna, non va dimenticato che, per quanto spettacolari e ricchissimi siano i colpi messi a segno, si tratta pur sempre di rapine, che si differenziano notevolmente da un semplice furto, poiché in questi casi la sottrazione dei beni viene compiuta sempre con violenza o minaccia, o peggio a mano armata.

Nel dicembre 2017 la fortuna guardò da un’altra parte, atteso che nel corso della rapina messa a segno a Milano nella gioielleria “Paradiso Luxury” con la tecnica “smash & grab” (distruggi e prendi), uno dei componenti della banda si ferì e, dal sangue ritrovato sul luogo del delitto, venne estratto il DNA che portò alla sua identificazione e cattura. Immediatamente, venne emessa un’ordinanza di custodia cautelare in carcere in attesa che si celebri il processo.

La caccia agli altri complici della banda è ancora aperta, ma vi è il fondato timore che, quand’anche venissero catturati, il fenomeno dei Pink Panthers è ben lungi dall’essere vinto, considerato che godono da quasi vent’anni di un’efficace e rapido ricambio generazionale.

Per approfondire:

Per approfondire: “La banda degli ex militari serbi che hanno rapinato tutto il mondo” in www.secoloditalia.it; www.ilpost,it/2013/07/29/furti-di-gioielli -piu- genri/amp./; Milano: rapina in gioielleria, presa gang delle “Pink Panthers” in www.poliziasistato.it; “Milano rapina da 200mila euro: arrestato Pink Panthers, in www.adncronos.com; “Manuale di Diritto Penale – Parte speciale” L. Delpino, R. Pezzano, ed. Simone 2018.

La scienza dentro una melagrana

Arte e scienza sembrerebbero due modi lontanissimi tra loro: non è sempre vero, essendo connessi molto più intimamente di quanto si possa pensare.

E’ stato recentemente pubblicato su  “Interactive. Cardiovascular and Thoracic Surgery” (http://doi.org/10.1093/icvts/ivy321) un articolo che descrive l’anatomia cardiaca nascosta nel celebre dipinto la Madonna della Melagrana di Botticelli, esposto nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

E’ un tondo di mirabile bellezza, al centro del quale la Madonna, con in braccio il Bambino, tiene in mano una melagrana leggermente aperta. Il disegno dell’interno del frutto con gli arilli ben visibili, separati da sottili membrane, sembra riprodurre fedelmente lo schema anatomico del cuore. Si possono distinguere l’atrio e il ventricolo destro e sinistro, l’arteria polmonare, mentre la corona del frutto rappresenta l’aorta nella parte più alta e la vena cava superiore in quella più bassa.

Madonna della Melagrana - Dettaglio, riproduzione dell'anatomia del cuore, Botticelli, Galleria degli Uffizi Firenze

Madonna della Melagrana – Dettaglio, riproduzione dell’anatomia del cuore, Botticelli, Galleria degli Uffizi Firenze

 

Anatomia del cuore

Anatomia del cuore

L’esattezza di questi dettagli è impressionante per considerarla una semplice coincidenza; quindi, è verosimile  la tesi degli autori dell’articolo in commento, considerato che è storicamente dimostrato che lo studio dell’anatomia nel Rinascimento fosse una pratica molto diffusa tra gli artisti: Botticelli, Pollaiolo e tutti i più grandi maestri dell’epoca celavano profonde conoscenze anatomiche.

Botticelli con questo espediente avrebbe inteso rappresentare il cuore e il sangue versato da Gesù per salvare l’umanità all’atto del sacrificio supremo.

Lo studio del corpo umano  risale a tempi antichi, ma la vera conoscenza anatomica inizia nel XIII secolo: l’Università di Bologna si è rivelata l’antesignana dell’anatomia umana. L’osservazione diretta dei corpi, attraverso le dissezioni, portò il suo più celebre esponente, Mondino de’ Liuzzi, a scrivere un trattato che rimasto una pietra miliare per molti anni.

Anche Leonardo da Vinci dedicò gran parte della sua vita allo studio diretto del corpo umano: lo scorso anno per celebrare i 730 dalla fondazione dell’Ospedale Santa Maria Nuova a Firenze sono state mostrate le “vasche di  Leonardo”, situate nei sotterranei della struttura, dove pare che Leonardo in segreto eseguisse a fini di studio le dissezioni dei cadaveri all’epoca vietate a Firenze.

Studi anatomici di Leonardo da Vinci

Studi anatomici di Leonardo da Vinci

Più tardi, nel 1543 Andrea Vesalius fondò la Scuola anatomica di Padova: la sua opera “De humani corporis fabrica” fu scritta basandosi sull’osservazione diretta dell’anatomia umana. Il suggestivo Teatro Anatomico, completato nel 1595, si trova  presso il palazzo del Bo dell’Università degli Studi di Padova ed è la più antica struttura permanente al mondo creata per l’insegnamento dell’anatomia e la dissezione dei cadaveri. La struttura a cono rovesciato permetteva agli studenti di assistere alla lezione che si svolgeva alla base, l’illuminazione era assicurata da candele e si racconta che per rendere l’atmosfera meno cupa era frequente l’esecuzione di musiche dal vivo.

Teatro Anatomico, Palazzo del Bo, Università degli Studi di Padova

Teatro Anatomico, Palazzo del Bo, Università degli Studi di Padova

 

Le pratiche necessarie per lo studio anatomico furono anche fortemente contraste, poiché ritenute sacrileghe. Tuttavia, le autorità ecclesiastiche mai posero il veto a tali studi: del resto non poteva essere diversamente, atteso che la maggior parte delle Università erano strettamente collegate alla Chiesa – Bologna in primis – e Papa Sisto IV nella bolla “De Cadaverum sectione” riconobbe l’anatomia come “utile pratica medica e artistica”.

Il Museo della Specola di Firenze – al di fuori dell’ordinario circuito turistico – merita una visita: è il museo di storia naturale più antico d’Europa; la sezione più interessante  (e impressionante) è quella dove sono esposte le cere anatomiche: sono dei modelli anatomici realizzati tra il XVIII e il XIX secolo con una tecnica molto raffinata,  finalizzati  a ottenere un vero e proprio trattato didattico scientifico dell’anatomia del corpo umano senza bisogno di osservare un cadavere. La precisione e i dettagli di queste opere nulla hanno da invidiare agli attuali supporti  digitali, o di realtà aumentata, ma rispetto ai sistemi moderni possono vantare l’indiscusso fascino  della storia.

Museo della Specola, Sala delle Cere Anatomiche, Firenze

Museo della Specola, Sala delle Cere Anatomiche, Firenze

In questo breve excursus nel secolare studio dell’anatomia permane un elemento attuale ancora oggi: il progresso della medicina e l’innovazione delle tecniche chirurgiche richiedono sempre un approccio diretto con  il corpo umano. Nel 2014  la Commissione Affari Sociali della Camera approvò un disegno di legge per regolamentare la donazione del corpo post mortem a fini scientifici, cosa che nel resto del mondo è un fatto assolutamente normale, mentre in Italia rimane ancora assai raro.

De iure condendo, ovvero in attesa che tali norme vengano approvate, i siti di alcune Università hanno stilato dei protocolli che consentono e regolano la donazione volontaria del corpo post mortem: si tratta di casi sporadici, poche decine ogni anno. Forse leggi certe accompagnate a una campagna di sensibilizzazione, come avvenuto quando è iniziata l’era dei trapianti, in futuro porteranno a comprendere il grande valore di questa scelta per il continuo progresso della scienza medica.

 

 

Per approfondire:

Per approfondire: https://academic.oup.com/icvts/advance-article/doi/10.1093/icvts/ivy321/5219001?searchresult=1 ; “La nascita dell’anatomia” in www.filosofiaescienza.it ; “Viaggio intorno al corpo” Dizionari dell’arte di G. Bordin, M. Bussagli, L. Polo D’Ambrosio ed. Mondadori Electa 2015; “Teatro Anatomico” in www.unipd.it

Ad majora… tradimenti, speranze e fortuna.

Molte espressioni latine o frasi celebri sono vive e in uso ancora oggi: può trattarsi di massime di vita, insegnamenti, auspici o sottesi avvertimenti.

Venenum in auro bibitur: il veleno lo si beve in coppe d’oro, così scriveva Seneca nella tragedia Tieste. Nel rinascimento la locuzione si riferiva alle sofisticate modalità di somministrazione del veleno, che di frequente veniva miscelato alle bevande in calici d’argento: l’intenso sapore del vino, spesso speziato, copriva il veleno e l’impossibilità di vedere la polvere in trasparenza perfezionava il veneficio. In senso traslato può essere riferito a qualcosa di malevolo nascosto da una dolcezza apparente.

Il Bacco fanciullo attribuito a Guido Reni

Bacco Fanciullo, attribuito a Guido Reni

Sub rosa dicere: dire sotto la rosa. L’espressione completa “sub rosa dicta velata est” indica segretezza e riservatezza. All’epoca medievale la rosa bianca simboleggiava discrezione e silenzio, per questo motivo cinque petali  sono frequentemente incisi sopra i confessionali nelle chiese. Taluni studiosi collegano questa tradizione alla mitologia classica, ricordando il rapporto tra Amore e Silenzio, divenuto simbolo della segretezza amorosa.

L'immagine rappresenta delle rose dipinte da Van Gogh

Rose Bianche, Vincent Van Gogh

Quousque tandem Catilina: locuzione tratta dalla versione completa “Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?” (Fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?): sono le parole dell’invettiva pronunciata in Senato da Cicerone contro Catilina per denunciarlo dopo aver scoperto la congiura ordita ai danni della Repubblica. Catilina ritenuto colpevole di tradimento fu condannato a morte. Venne ripresa da Sallustio e da molti altri autori latini compreso Seneca, oggi è riferita a colui che abusa della pazienza altrui.

L'immagine rappresenta Cicerone denuncia Catilina, Cesare Maccari

Cicerone denuncia Catilina, Cesare Maccari

Tu quoque, Brute, fili mi?: “Anche tu, Bruto, figlio mio?”. Secondo Svetonio queste sarebbero state le ultime parole di Giulio Cesare prima di morire per mano dei congiurati. E’ espressione del più grave e inaspettato dei tradimenti, anche se Bruto in realtà non era figlio biologico di Cesare, ma uno dei suoi prediletti. La locuzione è stata ripresa anche da Shakespeare nell’omonima tragedia; oggi è diffusa nella forma più semplice di “Tu quoque” per indicare un comportamento inaspettato o sorprendente.

L'immagine rappresenta la morte di Cesare di V. Camuccini

La morte di Cesare, Vincenzo Camuccini

Sic transit gloria mundi:  così passa la gloria del mondo. La frase è tratta dalla prima lettera di Giovanni l’evangelista ed è divenuta celebre in quanto veniva ripetuta tre volte al Papa appena eletto al soglio pontificio per ricordare quanto sia effimero il nostro passaggio in questo mondo. Oggi si usa per commentare improvvisi cambiamenti successivi a momenti positivi o di grande fortuna.

L'immagine rappresenta un particolare con angelo di Rubens

Angelo,particolare, Pieter Paul Rubens

Audantes fortuna iuvant: la fortuna aiuta gli audaci. La locuzione è stata scritta per la prima volta nell’Eneide di Virgilio. Con queste parole Turno, re dei Rutuli, esortava i suoi uomini contro Enea. Il senso della frase consiste nell’invito a essere sempre coraggiosi, anche di fronte alle situazioni più difficili. Oggi è il motto dell’Università degli studi Milano-Bicocca e del lancia missili “Audace” della Marina Militare Italiana.

L'immagine rappresenta la Nike di Samotracia

Nike di Samotracia, Musée du Louvre

 

Per aspera ad astra: (per aspera sic itur ad astra), letteralmente attraverso le asperità alle stelle. La locuzione già cara a Platone venne utilizzata anche da Lucio Anneo Seneca nel suo Hercules furente, che dovette affrontare le celebri dodici fatiche per raggiungere la fama eterna. Oggi la locuzione è riferita alle difficoltà che devono essere superate prima di arrivare al successo. Una curiosità: il compositore polacco Moritz Moskowski intitolò “Per aspera ad astra” , Op. 72, quindici studi di virtuosistici per pianoforte.

L'immagine raffigura la Starry Night di Van Gogh

Starry Night, Vincent Van Gogh

Sapere aude!: letteralmente “osa sapere”, nell’interpretazione significa “abbi il coraggio della tua intelligenza”. L’espressione è riferibile a Orazio, ma nella modernità divenne il principio ispiratore dell’Illuminismo grazie a Immanuel Kant, che la pronunciò per spiegare la centralità della ragione e della conoscenza, unici mezzi con i quali l’uomo avrebbe potuto superare la sua condizione primitiva. Oggi è un’esortazione a utilizzare l’intelligenza e la conoscenza per raggiungere nuovi traguardi e favorire il progresso  per il bene collettivo.

l'immagine rappresenta La suola di Atene, Raffello, Stanza della Segnatura

La suola di Atene, particolare e Aristotele, Raffello, Stanza della Segnatura

Per approfondire:

Per approfondire: Dizionario delle sentenze latine e greche, a cura di Renzo Tosi, ed. BUR 2017

Do you speak Italian? Yes, of course…

E’ ormai una consuetudine dimenticare quanto il nostro Paese e la sua Storia siano stati universalmente il centro dell’arte e della bellezza per antonomasia.
L'immagine rappresenta un'antica cartina dell'Italia

 

Questa cultura si  diffuse nel mondo anche grazie alla sua lingua, che vide gli albori con le opere di Dante, per  poi proseguire nei celebri versi di Petrarca, nell’Umanesimo e nel Rinascimento.

L'immagine raffigura Dante Alighieri che legge la Divina Commedia

La Divina Commedia, Dante Alighieri

Si trattava di una lingua di “cultura”, quasi una forma d’arte: la nostra dilagante Bellezza cinquecentesca travalicò i confini della penisola (seppur ancora lontana dall’essere Italia), insinuandosi nell’Europa continentale e oltre, arrivando sino all’Inghilterra, regno di Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, ultima discendente della dinastia Tudor.

L'immagine rappresenta il ritratto di Elisabetta I

Ritratto di Elisabetta I

L’iconica sovrana inglese, colta e raffinata, era un’appassionata lettrice delle poesie di Petrarca, parlava e scriveva correttamente in italiano, ritendendolo la lingua della cultura per eccellenza, persino molto più “charmante” del francese. Pare avesse un insegnante madre lingua con cui conversare abitualmente ed era solita preferire l’italiano quando si trovava negoziare con gli spagnoli, i quali non svettavano nelle sue simpatie. Di recente è stato pubblicato un libro intitolato “Elisabeth I’s Italian Letters” che raccoglie le numerose missive scritte in italiano dalla Regina inglese ai più svariati personaggi dell’epoca da Ferdinando I de’ Medici a Wan-Li imperatore della Cina.

Oltre all’aspetto strettamente culturale connesso alla storica figura di questa grande sovrana, emerge qualcosa che nel tempo abbiamo dimenticato: l’importanza di curare la nostra lingua; infatti, se è vero che in passato essa fu un modo per fregiarsi del sapere superiore e, come tale, simbolo d’appartenenza all’élite delle persone colte, lontanissime dalle classi sociali medio-basse, oggi è parte integrante di noi, del nostro essere, della nostra vita.

L'immagine rappresenta la sede dell'Accademia della Crusca, Villa Castello, Firenze

Accademia della Crusca, Villa Castello, Firenze

La strenua difesa dell’italiano è affidata dal 1583 all’Accademia della Crusca, la più antica istituzione al mondo per il controllo della lingua: dalla sua sede  nella splendida Villa Medicea di Castello a Firenze, culla del nostro patrimonio linguistico, l’Accademia ancora oggi vigila e allerta sui rischi di un lento e inesorabile declino del nostro idioma.

L'immagine rappresenta gli interni dell'Accademia della Crusca

Accademia della Crusca, interni

Tra i fattori più preoccupanti sono menzionati i numerosissimi termini inglesi che ogni anno entrano a far parte del vocabolario della lingua italiana e che erodono il corrispondente lessico nazionale, talvolta inutilmente, essendovi in italiano un vocabolo che corrisponde perfettamente a quello inglese: un paio di esempi eclatanti che oggi dilagano nel lessico sia comune sia professionale sono “endorsment” per dire “sostegno, adesione”, oppure “mission” per riferirsi a una  “finalità” o uno “scopo”, o ancora “vision”, in pratica la visione o principio ispiratore di un certo progetto.

La protezione delle nostra lingua è doverosamente demandata anche alle istituzioni universitarie, comprese quelle di natura scientifica e tecnologica, le quali non sempre sono state all’altezza di tale compito. Un caso su tutti è emblematico: nel 2012 presso il Politecnico di Milano furono istituiti alcuni corsi avanzati e di dottorato soltanto in lingua inglese, escludendo totalmente la nazionale; il provvedimento del Rettore venne impugnato avanti al TAR da alcuni docenti dell’Istituto in ragione dell’illegittima totale esclusione dell’italiano. Il TAR diede ragione ai ricorrenti, ma la sentenza venne impugnata di fronte al Consiglio di Stato, il quale si rivolse alla Corte Costituzionale, sottoponendole la questione di legittimità con riferimento alla norma della “Riforma Gelmini”, diretta al “rafforzamento dell’internalizzazione” delle discipline di studio. Tralasciando gli aspetti tecnici del quesito rivolto alla Corte, il punto era stabilire se tale  norma fosse legittima nell’indicazione della possibilità di istituire corsi in lingua straniera, escludendo l’italiano.

L'immagine rappresenta l'aula della Corte Costituzionale a Roma

Corte Costituzionale, Roma

 

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 42/2017 non ritenne la norma contraria alla Costituzione, ma si pronunciò con un’ineccepibile sentenza interpretativa, nella quale si evidenzia il primato delle lingua nazionale sulle altre. Si riporta un breve passaggio della motivazione, che vale la pena leggere: “La lingua italiana è dunque, nella sua ufficialità, e quindi primazia, vettore della cultura e della tradizione immanenti nella comunità nazionale, tutelate anche dall’art. 9 Cost. La progressiva integrazione sovranazionale degli ordinamenti e l’erosione dei confini nazionali determinati dalla globalizzazione possono insidiare senz’altro, sotto molteplici profili, tale funzione della lingua italiana: il plurilinguismo della società contemporanea, l’uso d’una specifica lingua in determinati ambiti del sapere umano, la diffusione a livello globale d’una o più lingue sono tutti fenomeni che, ormai penetrati nella vita dell’ordinamento costituzionale, affiancano la lingua nazionale nei più diversi campi. Tali fenomeni, tuttavia, non debbono costringere quest’ultima in una posizione di marginalità: al contrario, e anzi proprio in virtù della loro emersione, il primato della lingua italiana non solo è costituzionalmente indefettibile, bensì – lungi dall’essere una formale difesa di un retaggio del passato, inidonea a cogliere i mutamenti della modernità – diventa ancor più decisivo per la perdurante trasmissione del patrimonio storico e dell’identità della Repubblica, oltre che garanzia di salvaguardia e di valorizzazione dell’italiano come bene culturale in sé.”

Questa sentenza deve essere considerata un faro per tutti noi, nessuno escluso: siamo chiamati a proteggere e difendere la lingua italiana, il che non significa rimanere chiusi nel nostro piccolo baluardo, ottusi verso il resto del mondo; semplicemente vuole intendere che accanto alla lingua degli scambi internazionali per eccellenza, l’inglese, dobbiamo sempre e comunque tutelare il valore del nostro lessico nazionale con le sue mille sfaccettature e le diverse sfumature.

L'immagine raffigura un simbolo del multilinguismo nella UE

Il multilinguismo nella UE

Si consideri, inoltre, che uno dei principi ispiratori dell’Unione Europea è “uniti nella diversità” e le lingue ufficiali sono ben 24 e non tre (inglese, francese e tedesco) come si potrebbe pensare: nessuna delle lingue ufficiali prevale sull’altre, tutte hanno pari dignità e importanza.

L’italiano è una lingua abbastanza giovane, il suo consolidamento a livello nazionale è recente ed è stato il risultato di un lungo percorso, culminato con la capillare diffusione dei mezzi di comunicazione (radio e televisione) che l’hanno fatta diventare la lingua del popolo e non solo la lingua dei dotti o della legge, riservata a pochi eletti.

Nonostante questa giovinezza, il declino è in agguato e sta a noi proteggerla; la sopravvivenza di una lingua è sempre rimessa alla volontà del suo popolo: essa vivrà sin tanto che verrà parlata, scritta e valorizzata come patrimonio d’identità, storia e cultura.

L'immagine rappresenta le frecce tricolori

Frecce Tricolori

 

Per approfondire:

C. Marazzini “L’italiano è meraviglioso” Ed. Rizzoli 2018; L. Sampietro “La Regina innamorata dell’italiano” in www.ilsole24ore.com; /www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2017&numero=42; C. M. Bajetta “Elisabeth I’s Italian Letters” , Palgrave Macmillan, New York.

Giocami ancora

Ogni anno circa 300 milioni di palline da golf vengono perse o finiscono nei laghi o nel mare: il numero è enorme e lascia allibiti anche per l’impatto ambientale. In realtà, in ogni campo del mondo la caccia alla pallina persa è aperta ed è un vero business.

Il Golf è uno sport bellissimo, tra i più praticati al mondo: si gioca all’aria aperta immersi nella natura e i campi si trovano in luoghi particolarmente suggestivi.

L'immagina raffigura Golf Club Padova, sullo sfondo Villa Barbarigo, Valsanzibio (Padova)

Golf Club Padova, percorso giallo, sullo sfondo Villa Barbarigo, Valsanzibio (Padova)

La pratica del golf è molto più difficile e complessa di quanto si possa immaginare a prima vista: lo swing, il movimento da compiere per colpire la palla con la mazza, è quanto di più innaturale possa essere richiesto al nostro corpo.

 

L'immagina raffigura il back swing di Tiger Woods

Il back swing di Tiger Woods

Una minima variazione della postura, della presa del bastone, della rotazione possono portare all’errore, separandoci definitivamente dalla nostra pallina. Acquisire la sicurezza del movimento atletico richiede tempo, pratica e pazienza… molta pazienza.

 

Anche per i professionisti come il mitico Tiger Woods o il più giovane Rory Mcllory, veri e propri atleti con una preparazione fisica finalizzata a potenziare la forza del colpo, l’errore è sempre in agguato. Ma qual è il peggio che possa capitare durante una gara? Perdere la pallina: se accade (e agli amateur accade spesso) il giocatore “perde colpo e distanza”, in altre parole, incorre in un punto di penalità e deve ripetere il colpo tornando dove aveva giocato la palla perduta.

Che fine fanno le palle perse? In Italia sono di chi le trova: il golfista che le rinvenisse in campo le potrà tenere; lo stesso dicasi per quelle che sono ritrovate negli ostacoli d’acqua del percorso oppure in mare per i campi che vi si affacciano.

In punto di diritto, la qualificazione giuridica suggerisce di considerarle “res derelictae” (cose abbandonate), perché se è vero che inizialmente sono state smarrite, il golfista che non ritrovi la palla entro cinque minuti dal colpo (tempo concesso dalle regole per cercarla) l’abbandona  volontariamente, proseguendo il suo gioco con una nuova pallina  e la sequela di penalità sopra descritte.

Il giocatore agisce così con “animus dereliquendi”, ovvero la volontà di abbandonare la cosa, che da quel momento non avrà più alcun proprietario.

L'immagina raffigura gli ostacoli d'acqua e i bunker del percorso

Ostacoli d’acqua e bunker

I beni mobili senza proprietario possono essere “res derelictae”,  o “res nullius”, queste ultime intese come cose che non sono mai state di proprietà di alcuno: in siffatte ipotesi, colui che materialmente si impossesserà del bene, con l’intenzione di farlo proprio, ne diverrà il proprietario; questo modo di acquisto delle diritto dominicale (i. e. diritto di proprietà) è detto occupazione.

L’acquisto del diritto di proprietà in forza dell’occupazione può avvenire soltanto per i beni mobili, non per quelli immobili, i quali, se non appartengono a privati, sono di proprietà dello Stato.

L’argomento delle palline perse sembra futile ma non lo è affatto se consideriamo il ricchissimo giro d’affari connesso al loro ritrovamento e vendita. Il mercato delle palline usate è florido e particolarmente appetibile per i giocatori, i quali possono acquistarne di buona qualità a un prezzo inferiore rispetto alle nuove: il prezzo di una pallina nuova di  media fascia è di circa € 3,00, per quelle top si arriva anche a € 5,00, mentre per quelle usate, anche di ottima qualità, il costo  si aggira tra i € 0,50 e € 1,00. Un bel risparmio per gli allenamenti o le nove buche con gli amici.

Negli Stati Uniti c’è chi è diventano considerevolmente ricco ripescando palline da laghi e mari, ripulendole e mettendole in vendita: il fatturato dell’azienda leader in questo settore ammonta all’astronomica cifra di 15.000.000 di dollari.

L'immagina raffigura un cercatore subacqueo di palle perse

Cercatore subacqueo di palle perse

L’attività mondiale di ricerca e recupero delle “lost balls” è pregevole anche sotto il profilo ambientale elidendo – almeno in parte – l’ennesimo fattore d’inquinamento del pianeta… nella speranza che il golfista che si posizionerà sul tee per giocare una ex-palla persa sia più bravo del suo predecessore.

L'immagina raffigura una pallina da golf persa e ritrovata

Palla da golf persa e ritrovata

 

Per approfondire:

Alberto Trabucchi “Istituzioni di diritto civile”, Quarantesima sesta edizione Cedam 2013; http://www.golfpiu.it/recupero-palline-golf-in-acqua-il-sub-da-15-milioni-di-dollari/

La Natività perduta e l’ombra della criminalità organizzata

Palermo. 18 ottobre 1969. Le sorelle Gelfo scoprirono uno dei furti più clamorosi e oscuri della storia: il capolavoro di Caravaggio “Natività con i Santi Lorenzo e Francesco” era stato rubato dall’Oratorio di San Lorenzo.

La notizia lasciò il mondo attonito. La dinamica del furto fu di una semplicità disarmante: una porta rotta, niente allarme, nessuna misura di sicurezza, nulla era stato predisposto a protezione di una delle ultime opere del Merisi e l’unica presente a Palermo.

L’olio su tela era collocato sopra l’altare, incastonato tra i meravigliosi stucchi di Giacomo Serpotta e dominava la piccola chiesa dal 1609. I malviventi staccarono il dipinto dal muro, tagliando la tela in corrispondenza del bordo della cornice con una lametta da barba, dileguandosi indisturbati con un bottino dal valore inestimabile.

L'immagine rappresenta l'Oratorio san Lorenzo a Palermo

Oratorio San Lorenzo, Palermo

Scoperto il trafugamento, le forze dell’ordine compresero subito che il recupero dell’opera sarebbe stato difficilissimo, se non impossibile: non vi era alcun indizio e neppure avevano contezza del momento in cui il furto fosse stato commesso.  Secondo il racconto delle sorelle Gelfo, all’epoca custodi dell’Oratorio San Lorenzo, dal pomeriggio del 12 sino alla mattina del 18 ottobre nessuna di loro si recò presso la chiesa: un lasso di tempo troppo lungo, unito al fatto che – ovviamente – nessuno vide o sentì alcunché. L’indagine partì malissimo.

La graffiante penna di Leonardo Sciascia sferzò dalle pagine del Corriere delle Sera le pubbliche autorità siciliane, in particolare il Prefetto, scrivendo:

L'immagine riporta uno stralcio di un articolo di L. Sciascia scritto per il Corriere della Sera

Leonardo Sciascia dal Corriere delle Sera 1969

Le ipotesi formulate dagli inquirenti erano tre: ladruncoli da quattro soldi inconsapevoli del valore dell’opera (stimata all’epoca in un miliardo di lire), un’operazione di stampo mafioso, oppure un furto su commissione.

I giorni passavano e le indagini rimanevano incagliate, neppure l’offerta di denaro in cambio di informazioni sortì un qualche effetto, mentre cresceva il fondato  timore che il quadro potesse essere  stato distrutto perché non piazzabile sul mercato dell’antiquariato clandestino, oppure tagliato in più parti da vendersi separatamente, come il volto della Vergine illuminato dalla luce, il Bambino, o l’angelo che dall’alto domina la scena.

L'immagine raffigura un Particolare della Natività con i Santi Francesco e Lorenzo, Caravaggio

Particolare della Natività con i Santi Francesco e Lorenzo, Caravaggio

Per giorni la stampa evidenziò ripetutamente l’incuria dello Stato e delle amministrazioni locali nei confronti del patrimonio artistico siciliano, ritenendo l’accaduto un fatto del tutto prevedibile. Fu il giornalista Mauro De Mauro a spingersi oltre:  in esito a un’approfondita ricerca, il cronista documentò che esisteva una copia perfetta della Natività trafugata, dipinta da Paolo Geraci nel 1627. Effettivamente, nel novembre 1984 la copia del Geraci venne ritrovata a Catania.

Gli anni passarono e della Natività di Caravaggio nessuna traccia, sino al 1995: siamo nel corso del processo a carico di Giulio Andreotti, svoltosi nell’aula bunker dell’Ucciardone a Palermo. Durante una delle udienze, uno dei pentiti storici di Cosa Nostra, Francesco Marino Mannoia, affermò di essere stato uno degli autori del furto di un Caravaggio (senza specificare null’altro circa l’opera), di avere informato del fatto il Pubblico Ministero Giovanni Falcone e di aver precisato che la tela era andata distrutta, poiché irrimediabilmente danneggiata dopo essere stata piegata. La tela   – secondo il pentito – sarebbe dovuta andare al senatore Andreotti. Su quest’ultimo punto la dichiarazione del collaboratore di giustizia rimase priva del benché minimo riscontro probatorio, ma la pista mafiosa non fu abbandonata.

Gli investigatori del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico non credettero alla distruzione del capolavoro caravaggesco, del quale si tornò a parlare nel 1998, durante il processo di Firenze per la strage dei Georgofili del 27 marzo 1993.

L'immagine raffigura la strage di via dei Georgofili del 27 maggio 1993

Strage di via dei Georgofili a Firenze, 27 maggio 1993

Per capire i fatti dobbiamo fare un passo indietro: il 23 maggio del 1992 il Giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i cinque agenti della scorta persero la vita nella famigerata strage di Capaci; meno di due mesi dopo, il 19 luglio 1992, il Giudice Paolo Borsellino e altri cinque agenti vennero uccisi nella strage di Via D’Amelio a Palermo.

L'immagine raffigura una fotografia dei Giudici Falcone e Borsellino

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Quel periodo può essere ricordato tra i più cupi e duri della storia italiana. La gravità di quei fatti scosse la coscienza collettiva: era tempo per lo Stato di reagire e contrastare la mafia con fermezza e con ogni mezzo. Fu allora che venne introdotto l’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario, disposizione meglio nota come “carcere duro per i mafiosi”.

La norma trova applicazione nei confronti dei soggetti imputati o condannati per reati commessi  avvalendosi o agevolando l’associazione di stampo mafioso. Le severe restrizioni imposte dall’art. 41 bis limitano fortemente i contatti del detenuto sia con l’esterno, sia con l’ambiente carcerario, in quanto era stato appurato che il regime detentivo ordinario non impediva ai boss di Cosa Nostra di dirigere i loro traffici e dare ogni disposizione necessaria dal carcere.

Più volte il disposto in questione è stato sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale, nonché della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo poiché tacciato di disumanità: entrambe le Corti ne hanno sempre riconosciuto la legittimità per l’evidente l’utilità della misura nel contrasto al fenomeno mafioso e la necessaria tutela della collettività da soggetti di accertata pericolosità.

L'immagine rappresenta l'aula della Corte Costituzionale a Roma

Corte Costituzionale, Roma

Tornando al processo di Firenze per la strage dei Georgofili, dagli atti risulta che l’attentato fu commesso dalla mafia per indurre lo Stato a revocare la misura del 41 bis, atteso che ogni altro tipo di trattativa, compresa la restituzione di importanti opere d’arte, non aveva trovato positivo riscontro. Lo Stato non cedette alle pressioni e il regime del carcere duro da misura temporanea per il periodo di tre anni venne resa definitiva nel 2002.

Da quei tragici fatti la lotta alla criminalità organizzata ha riscosso importanti successi e tutt’ora continua indefessa; forse la Natività non è andata perduta. Secondo le notizie apprese negli ultimi giorni dalla Commissione Antimafia, il   dipinto si troverebbe in Svizzera. Pare  che l’opera fu trafugata da balordi, quindi consegnata a Stefano Bontate e poi al boss Tano Badalamenti (condannato all’ergastolo anche per l’omicidio di Peppino Impastato) che la portò all’estero, verosimilmente nel paese elvetico.

Alla luce degli ultimi avvenimenti possiamo ancora sperare nel recupero di questo superbo capolavoro per troppo tempo sottratto all’Italia, alla città di Palermo e all’intera Umanità.

 

 

Per approfondire:

R. Fagiolo “L’ombra di Caravaggio”, Edizione Speciale per il Corriere della Sera, 2017; A. Della Bella Diritto on line “Carcere duro” in www.treccani.it; www.ilfattoquotidiano.it sez. attualità, “Palermo, il caso del Caravaggio rubato. Per la commissione antimafia non è stato distrutto” del 28 maggio 2018.

Bel colpo per l’Arte!

I Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Bologna hanno messo a segno un colpo magistrale, recuperando tre importanti opere d’arte sottratte ad alcuni musei dell’Emilia Romagna.
Il dipinto trecentesco raffigura Sant'Ambrogio attribuito a Giusto de Menabuo - Pinacoteca di Bologna

Si tratta del “Sant’Ambrogio” del ‘300, attribuito a Giusto de Menabuo, rubato dalla Pinacoteca di Bologna il 10 marzo 2018 durante l’orario di apertura, nonché della “Crocefissione e discesa al Limbo” del tredicesimo secolo sottratta a Faenza: il quadro di piccole dimensioni è stato staccato dalla cornice e trafugato dal museo senza grandi difficoltà, verosimilmente dentro una borsa o sotto i vestiti.

L'immagine raffigura la “Crocefissione e discesa al Limbo” del tredicesimo secolo sottratta a Faenza

“Crocefissione e discesa al Limbo” del tredicesimo secolo – Faenza

Infine, è stato ritrovato di un “Ritratto di donna” delle metà del XVII secolo rubato a Imola.

L'immagina raffigura un "Ritratto di donna” delle metà del XVII secolo rubato a Imola.

“Ritratto di donna” delle metà del XVII secolo – Imola.

Le indagini serrate e le acquisizioni dei filmati di video sorveglianza dei musei hanno permesso di accertare il momento della consumazione dei reati, nonché di individuare la fisionomia e le  fattezze del criminale immortalato in alcuni fotogrammi. Il sospetto, pedinato lungo le vie cittadine, prima che potesse darsi alla fuga è stato fermato. Durante la perquisizione domiciliare dell’indagato le Forze dell’Ordine hanno rinvenuto i dipinti rubati e gli indumenti utilizzati in occasione dei furti.

La guerra a tutela del nostro Patrimonio Artistico prosegue indefessa e senza tregua, la guardia è alta e i successi sempre pronti ad arrivare.

Complimenti sinceri ai Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio artistico.

Per approfondire:

Dal comunicato stampa in Arte: Recuperati dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale tre pregevolissimi dipinti rubati nelle sedi museali di Faenza, Bologna e Imola in www.carabinieri.it  – Comando Provinciale di  – Bologna, 04/05/2018