La sentenza, la giustizia e l’etica

Il capolavoro “Rue Saint-Honoré in Après midi, Effet de pluie” di Pisarro non sarà restituito alla famiglia di Lilly Cassier Neubauer.

Si conclude – per ora – un’altra fase dell’intricato caso giudiziario promosso da Claude Cassier oltre vent’anni fa per ottenere la restituzione del quadro di Pisarro “Rue Saint-Honoré in Après midi, Effet de pluie” proprietà del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid dal 1996.

Questi i fatti in breve: è certo che il dipinto conteso appartenesse a Lilly Cassier, la cui famiglia sin dalla fine dell’800 gestiva la galleria d’arte in Viktoriastrasse n. 35 a Berlino.

Nel 1939 Lilly Cassier per salvarsi dalle persecuzioni cedette il Pisarro ai nazisti per la cifra irrisoria di 300 DM, dopo di che la proprietaria non ebbe più alcuna notizia del quadro, nonostante le continue ricerche.

Soltanto nel 2005 il nipote Claude Cassier, in modo del tutto casuale, riconobbe capolavoro “Rue Saint-Honoré in Après midi, Effet de pluie” esposto nel Museo Thyssen-Bornemisza: immediatamente ne chiese la restituzione, avviando un complesso contezioso giudiziario che portò alla pronuncia della Corte Suprema degli Stati Uniti nell’aprile  2022.

Con una sentenza all’unanimità, la Corte accolse l’ultima impugnazione proposta dalla famiglia Cassier e rinviò il giudizio alla Corte d’Appello della California, affinché decidesse se applicare al caso la legge californiana oppure quella spagnola.

La decisione della Corte d’Appello di Pasadena è di questi giorni: i giudici con una decisione unanime hanno ritenuto applicabile al caso la legge spagnola e, pur affermando che il dipinto fu sottratto illegittimamente a Lilly Cassier dai nazisti, hanno riconosciuto in capo Museo Thyssen-Bornemisza la proprietà del capolavoro, in virtù di un acquisto in buona fede e di un possesso protrattosi senza alcuna interruzione per il tempo stabilito dalla legge ai fini dell’acquisto del diritto dominicale a titolo originario.

Per gli eredi Cassier Neubauer è stato un duro colpo, poiché negli ordinamenti anglosassoni vale il principio “nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet“, secondo cui nessuno può trasferire diritti maggiori di quanti ne abbia egli stesso, quindi, mai si può trasferire la proprietà di un bene appartenente ad altri.

Negli ordinamenti di civil law, come l’Italia o la Spagna, vige un principio diverso per i beni mobili, per i quali vale la regola del “possesso vale titolo” sancita dall’art. 1153 C.c.

Questa norma introdotta dal legislatore italiano per garantire la certezza nella circolazione dei beni mobili consente all’acquirente di diventare proprietario a titolo originario del bene qualora vi sia un contratto astrattamente idoneo, il possesso della cosa inteso come disponibilità effettiva del bene e la buona fede soggettiva dell’acquirente.

Interessante è il presupposto della buona fede soggettiva regolata dall’art. 1147 C.c.: secondo questa norma, è possessore in buona fede chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto. Trattasi di una condizione psicologica che deve sussistere al momento dell’acquisto del possesso, per cui il soggetto deve essere convinto di poter esercitare sul bene un potere corrispondente al diritto di proprietà, o altro diritto reale, senza ledere la sfera giuridica altrui, mentre è del tutto irrilevante che tale convinzione successivamente venga meno (Conf. Cass. Sent. n. 8918/1991 e n. 3097/1988).

Alla luce di questi principi, la vendita con consegna di un bene mobile – come potrebbe essere un’opera d’arte – a un soggetto in buona fede comporta che questi ne divenga il legittimo proprietario quand’anche la cosa sia di provenienza illecita o comunque non di proprietà del venditore.

In siffatte ipotesi, il vero proprietario mai potrà rivendicare il bene mobile dal legittimo nuovo proprietario, potendo rivolgersi soltanto al venditore per ottenere un risarcimento del danno, considerando, altresì, che la buona fede è sempre presunta pur potendo essere vinta da prova contraria anche attraverso indizi gravi, precisi e concordanti (Conf. Cass. 11285/1992 e 13920/1991).

Soltanto l’ignoranza gravemente colposa di ledere l’altrui diritto escluderà gli effetti dell’art. 1153 C.c. e quindi l’acquisto del bene: ma come si misura la colpa grave?

In linea di principio, la colpa grave è connotata di un’importante mancanza della dovuta diligenza da parte del soggetto acquirente: trattasi, quindi, di imprudenza, imperizia e/o negligenza; in altri termini, il compratore deve adoperarsi al fine di verificare l’inesistenza di elementi tali da indurlo a dubitare della legittima provenienza del bene o della titolarità della cosa in capo al dante causa.

Spostando tutto questo nell’ambito delle opere d’arte, l’acquirente accorto valuterà le prove e i documenti che attestino la proprietà del bene in capo al venditore e la provenienza dell’opera d’arte risalendo indietro nelle cessioni possibilmente sino all’artista. L’operazione può essere complessa, ma deve essere eseguita con accortezza e attenzione, eventualmente rivolgendosi a esperti del settore.

È pacifico che la soglia della diligenza imposta al soggetto esperto o professionista, in quanto collezionista o mercante d’arte, sia più alta e più specifica rispetto a quella richiesta al semplice consumatore.

Tornado al caso del Pisarro sottratto: vi sono molteplici elementi che depongono per una Due Diligence approssimativa sotto il profilo della provenienza dell’opera d’arte al momento dell’acquisto da parte di soggetti molto esperti. Infatti, nel corso di uno dei diversi gradi di giudizio di questo intricato caso è emerso che il Barone Hans Heinric Thyssen-Bornemisza, grande collezionista, nel 1976 all’atto dell’acquisto del bene dalla Hahn Gallery di New York, avrebbe dovuto essere più accorto e consultare gli esperti del settore che certamente conosceva, data la peculiarità e l’importanza del dipinto.

Salotto di casa Cassier

Invece, le numerose “Red Flags”, o elementi indiziari, circa una dubbia provenienza furono del tutto ignorati. In particolare, sarebbe bastato prestare attenzione alle etichette parzialmente rimosse dal retro del quadro dove ancora si leggeva “Vikto” e “Berlin”, corrispondenti a Viktoriastrasse e Berlino, oltre “Kunst und Ve” attribuibili a “Kunst und Verlagsantal”, ovvero la Galleri di Bruno e Paul Cassier.

Retro di quadri

Oltre a questi indizi, non si sarebbe dovuto tralasciare che il quadro era sparito in concomitanza con le razzie naziste e che la reclamante era l’erede di una famiglia ebrea.

Nella realtà, pare che né la Hahn Gallery né il Barone Thyssen-Bornemisza all’atto dell’acquisto abbiamo prestato la dovuta attenzione ai particolari descritti, nonostante la prima fosse un soggetto professionista, mentre l’altro un collezionista molto esperto.

La Corte d’Appello americana nella sentenza del 10 gennaio 2024 ha riconosciuto che il dipinto conteso era di proprietà della famiglia Cassier ma, decidendo di applicare il diritto privato spagnolo, ha ritenuto che l’acquisto da parte del Museo madrileno avvenne in buona fede, mancando la prova del contrario.

Corte d’Appello di Pasadena

In ogni caso, erano anche trascorsi i tre anni previsti dalla legge per il perfezionarsi dell’usucapione abbreviata senza che nel frattempo fosse intervenuta alcuna interruzione del possesso, la quale può determinarsi soltanto in caso di apertura di un giudizio contenzioso.

Il Museo Thyssen-Bornemisza è, quindi, il proprietario del dipinto, tuttavia, non possono essere dimenticati i principi della convenzione di Washington del 1998, nonché quelli della Convenzione del 2009 firmata da quarantanove Stati compresa la Spagna, in virtù dei quali il dovere di restituzione della “Looted Art” (arte razziata) è un obbligo etico e morale.

Giudice Consuelo Callahan

Al riguardo la Giudice Consuelo Callahan ha scritto che “il governo spagnolo avrebbe dovuto “cedere volontariamente” il dipinto alla famiglia in base a un accordo internazionale sulla restituzione delle opere d’arte saccheggiate dai nazisti che la Spagna e dozzine di altri paesi hanno firmato nel 2009”.

Vedremo se gli accordi etici e quel vento di riparazione e restituzione che oggi pare soffiare un po’ più intensamente porterà a una soluzione giusta ed equa per entrambe le parti, così da chiudere questo lungo contenzioso anche sotto il profilo morale.

Per approfondire:

 

Il disegno perduto di John Constable

Un ritrovamento inaspettato: dopo quarant’anni finalmente ricompare un magnifico disegno a olio di John Constable. Interessante e complessa la Due Diligence eseguita per accertare la paternità dell’opera.

View of the back of Willy Lott’s House with Lon-cutter” è un disegno a olio che Constable realizzò nel 1814: raffigura il retro del cottage di Willy Lott, il fattore che viveva nel piccolo borgo di Flatford, a nord del fiume Stour, nel Suffolk dove l’artista dipingeva all’inizio della carriera.

Il luogo e la casa compaiono anche in altri due capolavori dell’artista “The Hay Wain” del 1821, custodito presso la National Gallery

The Hay Wain

e “The Valley Farm” del 1835, esposto alla Tate Britain

The Valley Farm

Il dipinto appartenuto a una collezione privata è stato ritrovato in una villetta nel paese di Guernsey, dopo la morte dell’ultimo proprietario: collocato in un angolo buio della casa, ha attratto l’attenzione di uno dei dipendenti della Martel Maides Auctions.

L’esperto della Casa d’Aste MMA, Jonatan Voak, ha riconosciuto che il lavoro di attribuzione si è rivelato lungo e complesso: vi erano forti dubbi sulla paternità dell’opera in capo a Constable, poiché  quella tipologia di pittura all’epoca era molto diffusa, per cui è stato necessario procedere con grande accuratezza sia nell’esame dell’opera sia nell’accertamento della sua provenienza.

Jonatan Voak

L’esame visivo del disegno ha subito offerto interessanti elementi, primo tra tutti l’iscrizione della data in alto a sinistra “Giugno 1814”, confermata anche da una datazione apposta sul retro, ma da mano diversa.

La cornice inglese del XIX secolo porta l’iscrizione in basso del titolo dell’opera “Willy Lott’s House Flatford” e più sotto si trova la targa con l’anno di nascita (1776), il nome di J. Constable e la data della morte (1837).

Interessante la ricostruzione della provenienza dell’opera: da un attento esame di un’etichetta posta sul retro si è potuto accertare che il quadro appartenne al nipote dell’artista, Hugh Golding Constable, il quale nel 1899 lo vendette ai mercanti d’arte Leggatts Brothers.

Successivamente fu individuato con n. 14 “Willy Lott’s House” nella prima mostra dedicata a John Constable tenutasi nel novembre 1899 presso la Cornhill Gallery.

Gli ulteriori passaggi della titolarità rimandano a Caroline M. G. Williams che ereditò il disegno dai nonni e dopo di lei, venuta a mancare nel 2018, si è aperta l’ultima successione che ha riportato l’opera alla luce.

Nell’ambito del percorso di Due Diligence artistica tesa ad accertare la paternità dell’opera, è stato determinante il contributo di Anne Lyles[1], esporta studiosa di Constable, la quale ha trovato interessanti riscontri nel Catalogo di Robert Hoozee, edito da Rizzoli nel 1979, dove il disegno risulta essere incluso, oltre ad aver brillamentemente proposto una comparazione  con uno schizzo conservato al Royal Albert Memorial Museum di Exeter,

spiegando “ … che – quest’ultimo schizzo- fu catalogato da Graham Reynolds come ‘Una casa in mezzo agli alberi’ (G. Reynolds, Early Paintings and Drawings, n. 14.25). Sia Reynolds che lo studioso di Constable Ian Fleming-Williams descrissero la fattoria nel disegno … come una fattoria del Suffolk non identificata (Constable: a Master Draughtsman, Dulwich Picture Gallery, 1994, vedi cat. 25 e pp 136-8). Tuttavia, è ormai chiaro che sia il disegno sia lo schizzo a olio mostrano effettivamente la Willy Lott’s House, l’edificio a Flatford che appare in due dei dipinti più famosi di Constable, The Hay Wain, 1821 (National Gallery) e The Valley Farm, 1835 (Tate Britain), ma sul retro da un’angolazione insolita…”

Gli elementi raccolti con l’esame visivo, la dettagliata ricostruzione della provenienza del dipinto, il richiamo ai Cataloghi ragionati insieme alla precisa correlazione con altre opere dell’artista, hanno portato a ritenere, con buona probabilità,  che l’opera sia attribuilbile a John Constable, come sostenuto anche da parte di Sarah Cove conservatrice accreditata di dipinti e autorità riconosciuta sul lavoro di Constable.

Il disegno ritrovato sarà venduto all’asta da Martel Maides Auctios il prossimo 21 settembre 2023, per un prezzo stimato tra £ 80.000- £ 120.000, con l’auspicio che in futuro questo capolavoro ritrovato non ritorni nell’ombra, ma possa ancora mostrare al mondo quella tenue luce diffusa unica di Constable, così mutevole al susseguirsi delle stagioni.

 

 

Per approfondire:

[1] “Questo affascinante schizzo a olio, datato da Constable ‘Giugno 1814’ in alto a sinistra, è stato registrato l’ultima volta nella letteratura accademica sull’artista nel 1979, quando fu catalogato da Robert Hoozee in un catalogo ragionato dell’opera dell’artista pubblicato da Rizzoli. Riappare così ora qui, sul mercato, dopo un intervallo di oltre quarant’anni. Il disegno ha una solida provenienza che risale al diciannovesimo secolo, quando era di proprietà del nipote di Constable, Hugh Golding Constable (1868-1949)…”[1] in https://www.easyliveauction.com/catalogue/lot/df76dd8cca3a80205d8571b66c927798/0af8d24542e81eb9357e7ef448a6646f/autumn-catalogue-sale-f90036-lot-655/

https://artslife.com/2023/09/01/uno-schizzo-riscoperto-di-john-constable-arriva-in-asta-e-stima-fino-a-120-mila-sterline/

https://www.theguardian.com/artanddesign/2023/sep/01/constable-painting-of-alternative-hay-wain-scene-rediscovered

https://www.bbc.com/news/world-europe-guernsey-66659497

https://www.thetimes.co.uk/article/lost-constable-painting-found-in-private-collection-q080s0vj3

IL CAPOLAVORO RUBATO, L’ETICA E LA GIUSTIZIA NEGATA

La ricerca di un quadro rubato diventa un intricato e avvincente caso giudiziario pendente da quasi vent’anni: quando le norme di legge portano a sentenze distanti dall’etica, dalla morale e dalla giustizia.

Germania. Marzo 1939. Lilly Cassier Neubauer, erede della famiglia ebrea Cassier, per salvarsi dalle persecuzioni naziste è costretta a cedere uno dei suoi beni più preziosi: si tratta del celebre olio su tela “Rue Saint-Honoré in Après midi, Effet de pluie”, dell’impressionista Camille Pisarro. Il prezzo pagato per il capolavoro, oggi valutato più di trenta milioni di euro, fu davvero irrisorio, considerato che vennero consegnati soltanto un paio di visti per l’espatrio ed accreditati su un conto corrente bloccato RM 300,00.

Lilly Cassier e il nipote Klaus si salvarono dall’odio nazista e dopo un viaggio rocambolesco attraverso l’Inghilterra, si rifugiarono negli Stati Uniti, dove il nipote assunse il nome di Claude Cassier.

 

Finita la guerra, Lilly Cassier cercò di recuperare il quadro, ma non ne trovò mai alcuna traccia, per cui, nella convinzione che il dipinto fosse andato distrutto, nel 1959 accettò dal Governo tedesco un indennizzo di $ 13,000.00, apparentemente senza aver rinunciato all’eventualità di ritrovare l’opera d’arte e rientrarne in possesso.

 

Lilly Cassier morì a Cleveland, Ohio, nel 1962 e per quarant’anni del dipinto non si seppe più nulla, sino a quando nel 2005, il nipote Claude Cassier quasi per caso scoprì che il capolavoro era – ed è tutt’ora – esposto nel Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid.

Si accertò che il quadro fu acquistato dal Governo spagnolo nel 1993, insieme all’intera Collezione d’arte del Barone Hans Heinric Thyssen-Bornemisza, il quale a sua volta aveva acquistato il dipinto di Pisarro nel 1976 dalla Hahn Gallery di New York.

 

Claude Cassier avviò un lungo e complesso procedimento giudiziario, ancora pendente, nei confronti della Spagna per ottenere la restituzione del dipinto: la vertenza si snoda su diversi piani giuridici che spaziano dalle questioni attinenti alla giurisdizione, alla legislazione applicabile e infine alla decisione sul merito.

 

Ma in gioco vi è molto di più: si tratta dei principi etici e morali che impongono la restituzione delle opere rubate dai nazisti ai legittimi proprietari, nonché all’osservanza delle regole di buona fede, correttezza e trasparenza dettate per il buon funzionamento del mercato, le quali mai possono prescindere dall’esecuzione di un adeguato e puntuale accertamento sulla provenienza e autenticità delle opere d’arte.

Nel caso dell’acquisto del capolavoro appartenuto alla famiglia Cassier, i soggetti che ne vennero in possesso avrebbero dovuto effettuare accertamenti ben più approfonditi circa la provenienza del dipinto, poiché vi erano diverse “Red flags”, ovvero indizi ed elementi, in ragione dei quali sarebbe stato opportuno effettuare maggiori verifiche.

In particolare, sarebbe bastato prestare attenzione alle etichette, parzialmente rimosse dal retro del quadro, dalle quali ancora si poteva evincere che l’opera proveniva da Berlino e si sarebbe anche potuti risalire alla Galleria di Bruno e Paul Cassier, proprietari del dipinto prima della guerra.

Pare che la Hahn Gallery al momento della vendita avesse omesso di approfondire questi aspetti sulla provenienza, ai quali neppure il Barone Thyssen-Bornemisza prestò attenzione, nonostante fisse un collezionista esperto.

Inoltre, si doveva considerare come fossero ben noti e provati i numerosi saccheggi perpetrati dai nazisti a danno sia degli Stati occupati sia dei privati.

 

Ma torniamo alla nostra storia: il Tribunale Federale di Los Angeles, escludendo l’applicazione del FSIA (Foreign Sovereing Immunities Act), secondo cui gli Stati stranieri non potrebbero essere sottoposti alla giurisdizione americana, riconobbe la Giurisdizione del Tribunale Federale, il quale applicando le norme federali decise che la questione dovesse essere regolata dal diritto privato spagnolo.

In ragione di tali norme, la Corte Federale ritenne che il Museo spagnolo fosse il proprietario dal dipinto, sulla base del possesso continuato per un periodo di almeno sei anni, indipendentemente dall’eventuale provenienza illecita del bene.

 

I legali della famiglia Cassier appellarono la sentenza di primo grado, contestando la decisione anche sotto il profilo della mancata due diligence, intesa come quell’insieme di accertamenti tesi ad verificare e confermare l’autenticità e provenienza delle opere d’arte, sia da parte del Barone Von Thyssen-Bornemisza nel 1976, sia del Museo spagnolo nel 1993.

La decisione della Corte d’Appello confermò la sentenza di primo grado, precisando, altresì, che né il Barone né il Museo all’atto dell’acquisto del quadro avessero allora conoscenza del fatto che si trattasse di un bene rubato.

Corte Suprema degli Stati Uniti d’America

La svolta del caso risale all’aprile 2022, quanto la Corte Suprema degli Stati Uniti ha accolto l’ultima impugnazione proposta dalla famiglia Cassier, pronunciando una sentenza che potrebbe ribaltare il caso: il Giudice Elena Kagan ha affermato “A foreign state or instrumentality… is liable just as a private party would be. That means the standard choice-of-law rule must apply.” (Uno Stato o ente straniero… è responsabile proprio come lo sarebbe un privato. Ciò significa che deve essere applicata la norma standard sulla scelta della legge). La Corte Suprema all’unanimità ha ritenuto che le norme sulla scelta della legge debbano rispecchiare anche le norme che si applicherebbero in un’analoga causa tra parti private.

Giudice della Corte Suprema Elena_Kagan

Quando il tribunale di grado inferiore ha applicato le norme federali sulla scelta della legge spagnola- ha stabilito il Giudice Kagan – si è creata una discrepanza tra la responsabilità della fondazione (Museo spagnolo) e quella di un imputato privato.

Quindi, se nel prossimo giudizio di rinvio i Giudici riterranno applicabile la normativa californiana, con buone probabilità i Cassier potrebbero uscire vittoriosi dall’annosa vertenza, atteso per l’ordinamento giuridico stantunitense nessuno può trasferire  un diritto ad altri se non ne è il titolare, per cui nessuna opera rubata razziata potrà essere acquistata da un terzo.

Questo complesso caso giudiziario si intreccia con i principi etici e morali riconosciuti dalla Conferenza di Washington del 1998, applicabili alle opere confiscate dai nazisti. Tali principi, pur non avendo valore precettivo, dovrebbero illuminare le scelte dei possessori di opere d’arte di dubbia provenienza, affinché si promuova la restituzione dei beni sottratti ai legittimi proprietari durante la Seconda guerra mondiale, o comunque, si sostenga la conclusione di accordi che possano avere anche un valore riparatorio rispetto ai gravi torti subiti.

 

 

Per approfondire:

https://www.jdsupra.com/legalnews/thyssen-bornemisza-prevails-over-89143

“Le opere d’arte e le collezioni” G. Calabi, S. Hecker, R. Sarro, A. Busani, 2020 Cedam Wolters Kluwer

https://www.we-wealth.com/news/pleasure-assets/Arte/pissarro-cassirer-barone-bornemisza

https://www.artnews.com/art-news/news/the-u-s-supreme-court-sends-decades-long-case-over-nazi-looted-pissarro-back-to-california-court-1234626316/

Immagine in evidenza: “Rue Saint-Honoré in Après midi, Effet de pluie”, Camille Pisarro, 1897-1898

 

 

Dialoghi senza tempo

Il ritrovamento di un tesoro sommerso è una porta del tempo: ci permette di passare tra due mondi quello passato e il presente.

Una spada risalente a circa 900 anni fa è stata ritrovata nelle acque israeliane della costa di Carmel, al largo della città di Haifa: la baia dove il reperto è stato rinvenuto è nota per restituirci testimonianze di un passato lontano, avendo offerto per secoli riparo e un approdo sicuro alle navi dell’antichità.

Secondo gli esperti l’arma è appartenuta un guerriero crociato, avventuratosi in una delle numerose guerre di religione iniziate nel 1095, grazie alle quali i Cristiani europei, supportati dalla Chiesa, intendevano liberare i luoghi santi.

Spada sommersa

L’arma ritrovata è in condizioni perfette: il mare l’ha impreziosita con i suoi organismi, regalandole il fascino della memoria.

La spada del Crociato evoca la suggestione del ritrovamento del tesoro sommerso che ha ispirato l’arte contemporanea dell’inglese Damien Hisrt attualmente in mostra a Villa Borghese nell’evento “Archeology now”.

Archeology Now, Damien Hirst, Villa Borghese, Roma

Archeology Now, Damien Hirst, Villa Borghese, Roma

Nelle sale della Villa che fu del Cardinale Scipione si svolge un dialogo senza tempo tra la Bellezza perfetta e virtuosa del Bernini e quella che vuole essere specchio della contemporaneità, con le sue contraddizioni in bilico tra realtà e fantasia.

Anche la spada ritornataci dal mare potrebbe essere un pezzo del “Treasures from the Wreck of the Unbelievable”, il tesoro ripescato di Hirst, connotato da un controcanto sempre fiabesco dai tratti dissacranti, originali e di forte impatto visivo.

Cerberus, Damien Hirst, Galleria Borghese, Roma

Cerberus, Damien Hirst, Galleria Borghese, Roma

Nota giuridica. se mai vi capitasse di imbattervi in un reperto archeologico, ricordate che:

  • Dovete denunciare il ritrovamento del bene archeologico entro ventiquattro ore al Soprintendente, o al Sindaco, ovvero all’Autorità di pubblica sicurezza.
  • Provvedete alla conservazione temporanea dei reperti rinvenuti, lasciandoli nelle condizioni e nel luogo di rinvenimento. Se si tratta di beni mobili dei quali non se ne possa assicurare la custodia sul posto della scoperta, lo scopritore ha la facoltà di rimuoverli per meglio garantirne la sicurezza e la conservazione sino all’arrivo dell’autorità competente e, ove occorra, può richiedere l’ausilio della forza pubblica.
  • Tenete presente che ai sensi dell’all’art. 92 del “Nuovo Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” è previsto un premio per il ritrovamento fortuito sia allo scopritore, sia al proprietario dell’immobile dove è avvenuto il ritrovamento, sia al concessionario dell’attività di ricerca autorizzata dal Ministero della Cultura. Il premio può essere corrisposto in denaro o mediante rilascio di parte delle cose ritrovate e sarà determinato in base alle stime ufficiali effettuate dal Ministero.

    Spada del Crociato

     

     

Per approfondire:

Per approfondire: http://www.carabinieri.it/cittadino/consigli/beni-interesse-culturale/beni-d’interesse-culturale

La ricerca della perfezione: arte, matematica e diritto

“Le forme create da un matematico, come quelle create dal pittore o dal poeta, devono essere belle”, Godfrey H. Hardy in “Apologia di un matematico”

Arte e matematica sembrano distanti: la prima espressione della Bellezza e della creatività umana, mentre la seconda appare confinata nel solo ambito puramente scientifico, connotata da un linguaggio numerico freddo e astratto.

Non è così: queste due sfere della cultura sono profondamente connesse e dal loro intreccio sono proliferati grandi capolavori.

Piero della Francesca fu tra primi a comprendere l’importanza della geometria per la corretta rappresentazione dello spazio sulla tela; la summa dei suoi studi venne raccolta nel trattato “De Pospectiva Pingendi” (1472-1475), dove l’artista illustrò le tecniche prospettiche delle figure piane, dei solidi in prospettiva, sino alla spiegazione delle figure più complesse.

Il Tempietto di Colledestro nel De Prospectiva Pingendi

Il Tempietto di Colledestro nel De Prospectiva Pingendi

L’elaborato di Piero della Francesca fu il frutto dell’intenso rapporto con Luca Pacioli, nato a Borgo San Sepolcro, nei pressi di Arezzo nel 1445:

Ritratto di Luca Pacioli J. de' Barbari, Museo Nazionale di Capodimonte (1495)

Ritratto di Luca Pacioli J. de’ Barbari, Museo Nazionale di Capodimonte (1495)

Pacioli fu uno studioso ecclettico che inizialmente si dedicò all’aritmetica commerciale – dobbiamo lui l’invenzione del sistema di contabilità a partita doppia – per poi rivolgere il proprio interesse all’attività di insegnamento e puro studio della matematica, dell’algebra, nonché della geometria, stringendo proficue collaborazioni anche con Leonardo Da Vinci e Leon Battista Alberti.

Nel 1509 Pacioli scrisse il trattato “De Divina Proportione”, divenuto un pilastro della storia dell’arte e dedicato allo studio della sezione aurea, la quale da sempre rappresenta il parametro della proporzione perfetta, canone assoluto di armonia e bellezza.

Formula della divina proporzione

Formula della divina proporzione

Il matematico commissionò a Leonardo le illustrazioni di una serie di solidi costruiti partendo dal rapporto aureo: il Maestro fiorentino realizzò una splendida sequenza acquerelli raffiguranti perfette figure geometriche, le quali durante i fasti del rinascimento furono d’ispirazione per le decorazioni di stanze e palazzi.

Poliedri di Leonardo per Luca Pacioli

Poliedri di Leonardo per Luca Pacioli

Anche in tempi successivi la proporzione aurea è rimasta il cardine dell’arte: il ‘900 aprì le porte alla sperimentazione di nuove forme espressive che si distanziarono dall’immagine figurativa in senso stretto per volgere a concetti molto più liberi, privi delle costrizioni connesse alla rappresentazione della realtà. La creatività divenne concettualismo artistico, puro pensiero, impatto visivo ed emozione.

Sezione aurea

Sezione aurea

Le forme geometriche trovarono ulteriore spazio nell’estetica frattale, di cui fu maestro indiscusso Maurits Cornelius Escher, il quale per realizzare gli effetti prospettici dei suoi lavori anticipò scoperte matematiche, tanto che nel 1961 la prestigiosa rivista Scientific American gli dedicò un articolo sul rapporto tra l’arte e la matematica.

Giorno e notte Maurits Cornelis Escher, 1938

Giorno e notte Maurits Cornelis Escher, 1938

Esempi di geometria frattale Escher

Esempi di geometria frattale Escher

Le forme geometriche di Escher si ripetono su grandezze diverse e sono sempre tese alla ricerca dell’infinito, rappresentato dal replicarsi – e nello stesso tempo trasformarsi – della forma nello spazio.

Reptiles, Maurits Cornelis Escher 1943

Reptiles, Maurits Cornelis Escher, 1943

I parametri matematici, compreso il rapporto aureo, trovano vasta applicazione ancora oggi, poiché conferiscono all’immagine grande forza comunicativa. Tommaso D’Acquino sosteneva che “I sensi si dilettano con le cose che hanno le corrette proporzioni”: questo può considerarsi il principio ispiratore dell’iconica mela morsicata, del simbolo dell’iCloud e di Twitter, tutti realizzati secondo i canoni aurei.

Logo Apple con proporzione aurea

Logo Apple con proporzione aurea

Logo iCloud

Logo iCloud

Logo Twitter

Come nell’arte e nelle diverse forme di comunicazione, anche nel diritto la matematica sta trovando sempre maggior spazio, introducendo forme sperimentali di interpretazione delle leggi grazie a specifici algoritmi.

 

La ricerca della “decisione perfetta” sta conducendo alle sperimentazioni di “Judge profiling”, consistente nell’utilizzo di algoritmi matematici in grado di prevedere la decisione del giudice.

Il principio ispiratore sotteso è rappresentato dalla certezza del diritto, intesa come chiarezza, conoscibilità e univocità delle norme, le quali dovrebbero essere coerentemente interpretate e applicate dall’autorità giudiziaria, cosicché i consociati siano in grado di prevedere con ragionevolezza le conseguenze di una certa condotta o situazione.

Giustizia predittiva

Giustizia predittiva

L’ambizione di rendere “calcolabile” l’esito di un giudizio grazie a un computer, pur essendo un fine pregevole sotto il profilo della certezza, dell’eguaglianza e conformità delle decisioni di casi analoghi, si scontra con aspetti nebulosi di natura etica e giuridica.

Invero, la “decisione” del caso rimessa esclusivamente all’Intelligenza Artificiale (AI) richiederà che l’algoritmo informatico proceda al confronto della fattispecie concreta con una serie di complessa e vasta di dati (norme applicabili, orientamenti giurisprudenziali di legittimità, di merito, decisioni per casi analoghi, circostanze particolari…):  per garantire la qualità e sicurezza della decisione, tali dati dovranno avere provenienza certificata sia per l’originalità sia per l’integrità; inoltre, anche la metodologia di analisi dovrà essere trasparente, equa e imparziale.

Diritto e Intelligenza Artificiali

Diritto e Intelligenza Artificiale

Sarà, altresì, imprescindibile la compatibilità della “Giustizia predittiva” con le norme sulla privacy e sui dati sensibili. Al riguardo l’Unione Europea ha emanato un’apposita Direttiva (2016/680), prevedendo il divieto di decisioni basate unicamente su un trattamento automatizzato in ambito penale, mentre negli altri settori giuridici l’art. 22 del GDPR (Regolamento protezione dei dati) riconosce all’interessato il diritto pretendere l’intervento umano nei casi di processi con decisione automatizzata.

La giustizia predittiva è in fase sperimentale nel Tribunale di Brescia e nella Corte d’Appello di Venezia, ma è interessante il progetto della Scuola Sant’Anna di Pisa, che mira a creare un algoritmo in grado di prevedere talune tipologie di sentenze grazie alla creazione di una banca dati la cui fruizione dovrebbe essere aperta anche ai cittadini, i quali in un prossimo futuro potrebbero avere contezza delle chance di esito positivo di certi giudizi attraverso un algoritmo.

Scuola superiore Sant'Anna Pisa

Scuola superiore Sant’Anna Pisa

Il diritto per sua natura si muove su un piano complesso e talora può oltrepassare la stretta interpretazione normativa, poiché assumono rilevanza circostanze specificamente attinenti alla persona o al caso concreto.

Quindi, se l’utilizzo dell’AI porterà maggiore certezza, rapidità e prevedibilità delle decisioni giudiziarie, se potrà garantire una migliore conoscibilità delle norme e se nel contempo servirà alle difese per una più efficace  gestione delle controversie, allora sarà un reale ed effettivo valore aggiunto per il sistema giudiziario, ma rimarrà sempre imprescindibile che la valutazione, motivazione e decisione finale siano rese dal Giudice nell’ambito di quello specifico apprezzamento di fatto e diritto che connota una giustizia certa, equa e trasparente.

Giustizia, Raffaello Stanza della Segnatura

Giustizia, Raffaello Stanza della Segnatura

 

 

 

Per approfondire:

“Interpretazione delle legge con modelli matematici” Volume I, Luigi Viola, Ed. Centro Studi Corso Avanzato

 “Intelligenza Artificiale tra ‘calcolabilità’ del diritto e tutela dei diritti”, Roberto Bichi in Dottrina e Attualità Giuridiche, Giurisprudenza Italiana 2019

 “Giurimetria, sempre più matematica nel mondo della giustizia”, Claudia Morelli, in Altalex.com, 10 giugno 2019

 “Algoritmi e processo: alle soglie di una nuova era”, Marco Martorana, Il Quotidiano Giudico, Wolter Kluwer, 18 marzo 2020

 “Intelligenza Artificiale, a Pisa l’algoritmo che ‘prevede’ le sentenze”, Valentina Maglione, Il Sole 24 Ore, 1° giugno 2021

 Immagine di copertina: Poliedri di Leonardo da Vinci per Luca Pacioli

PASSIONE, MORTE E RESURREZIONE

Suplicium ultimum seu capitale: ultimo supplizio, la pena di morte.

Secondo il diritto romano la pena di morte poteva essere comminata con diverse modalità, ma quella che nel tempo si perfezionò ed ebbe estesa applicazione fu la morte in croce, castigo supremo per la sua manifesta violenza e crudeltà; fu strumento per i romani di  sottomissione dei popoli conquistati, in ragione del potere deterrente e dissuasivo di questa atroce pratica,  applicata a chi si opponeva al dominio delle forze della Città Eterna.

Le cronache storiche raccontano di drammatici episodi nei quali vennero giustiziate migliaia di persone contemporaneamente, come accadde nel corso della rivolta degli schiavi guidati da Spartaco tra il 73 e il 71 a. C.: in questo lasso di tempo i romani condannarono alla croce oltre seimila compagni dello schiavo ribelle, domando così una delle più forti ribellioni di cui si abbia memoria.

Rivolta degli schiavi, Fyodor Andreyevich Bronnikov

L’effetto afflittivo della sanzione iniziava ben prima della crocifissione, preceduta da una lunga serie di torture: la morte del crocefisso poteva giungere dopo una terribile agonia di molte ore se non giorni e spesso il corpo rimaneva esposto come monito per la collettività.

Cristo Crocefisso, Diego Velàsquez, Museo del Prado

Cristo Crocefisso, Diego Velàsquez, Museo del Prado

La crocifissione non fu l’unica pena capitale di particolare crudeltà, ma riveste un grande significato storico religioso, in quanto comminata al Re dei Giudei: la sua condanna è quanto di più profondo l’umanità abbia mai conosciuto. Cristo porta nel corpo crocifisso e nell’anima tutto il peso del male. Secondo il cristianesimo, la passione e la morte di Gesù sono la vendetta di Dio: Egli stesso, nella persona del Figlio, trasforma il male del mondo in amore sofferente atto a salvare l’umanità.

La Resurrezione, Piero della Francesca, Museo Civico, San Sepolcro

Per approfondire:

42 Giorni di Miguel Lorente, Ed. Nord, 2009

Missa pro eligendo romano pontefice: omelia del Cardinale Joseph Ratzinger, decano del Collegio Cardinalizio, lunedì 18 aprile 2005

Usque ad sidera, usque ad inferos

Fino alle stelle, fino agli inferi: questa era l’estensione della proprietà nel diritto romano.

La locuzione romanistica può ritenersi generalmente ancora attuale, atteso che la proprietà attribuisce al suo titolare la massima espansione del proprio potere sulla cosa: il proprietario ha il diritto assoluto di goderne e disporne in modo pieno esclusivo, con l’osservanza dei limiti e obblighi imposti dall’ordinamento.

Discesa agli inferi, Pieter Paul Rubens

Discesa agli inferi, Pieter Paul Rubens

Se è teoricamente vero che il suo diritto si estende da terra a cielo, non è possibile opporsi ad attività che per altezza o profondità non danneggino il proprietario, né interferiscano con il suo godimento del bene.

Vista la stretta correlazione tra suolo e spazio areo, l’interesse del privato a escludere terzi dal proprio spazio sovrastante deve essere valutato in concreto, considerandone l’effettiva  possibilità di utilizzo; pensiamo agli arei che ogni giorno solcano i cieli a migliaia di metri da terra: non sarebbe pensabile impedirne il sorvolo, poiché i proprietari sottostanti non possono trarre  alcuna utilità a quelle altitudini.

L'i300 kilometri sulla città, Gerardo Dettorimmagine raffigura

300 kilometri sulla città, Gerardo Dettori

Di recente la questione della titolarità dello spazio sovrastante si è acuita a causa del diffondersi dell’utilizzo dei droni, i quali volano a poche decine di metri e spesso vengono utilizzati  per pirateschi servizi fotografici in totale violazione della privacy dell’ignara vittima.

Come sempre il diritto si evolve e tiene il passo al progresso tecnologico: dal 1° luglio 2020 sono entrate in vigore una serie di nuove norme che vanno ad armonizzare la nostra legislazione e quella europea. Si è previsto che gli operatori di droni debbano essere registrati in un apposito registro nazionale, mentre gli apparecchi dovranno essere immatricolati in database elettronici. Si spera così di garantire il rispetto delle norme sulla riservatezza, nonché di contrastare i numerosi illeciti, troppo spesso impuniti.

L'immagine raffigura un drone in volo

Drone in volo

La proprietà è considerata un diritto inviolabile nella “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo” del 1948, lo dicasi per i principi sanciti dalla “Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo” del 1950, dove si riconosce che il diritto domenicale è uno dei quelli fondamentali per la persona.

Nel nostro ordinamento, invece, la proprietà non rientra tra i diritti inviolabili riconosciuti dalla Costituzione, essendo contemplata nel Titolo II, parte I, afferente ai rapporti economici: la nostra Carta salvaguarda l’istituto della proprietà privata, come diritto soggettivo assoluto (in quanto si può far valere nei confronti sia di tutti i consociati, sia dello Stato), ma prevede che essa debba avere una “funzione sociale”.

Santa Maria Aracoeli e il Campidoglio, Canaletto

Santa Maria Aracoeli e il Campidoglio, Canaletto

In altre parole, il cittadino può godere del proprio bene con le ampie facoltà riconosciute dall’ordinamento, ma ciò deve avvenire entro i limiti fissati dalla legge. La proprietà sempre può subire limitazioni per ragioni di interesse generale, come avviene nei casi di espropriazione per motivi di pubblica utilità, oppure nelle normative che regolano la facoltà di edificare, o nelle norme le disciplino il contenuto dei contratti di locazione. Queste in particolare vanno a tutelare diversi aspetti del rapporto locatizio, sia ad uso abitativo, sia commerciale, in ragione dei peculiari riflessi che tali contratti hanno nella vita delle persone e nelle attività imprenditoriali fulcro del nostro sistema economico.

Snoopy, la sua proprietà e il cielo stellato

Per approfondire:

Per approfondire: Manuale di diritto civile, G. Chinè, M. Fratini, A. Zoppini, Nel diritto Editore 2013

Immagine di copertina: Starry Night, Vincent Van Gogh

Gli animali sono esseri senzienti

“La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali” Margherita Hack

Da tempo la giurisprudenza ha riconosciuto che gli animali sono esseri viventi dotati di una propria sensibilità psico-fisica, mentre l’ordinamento italiano, con un articolato percorso normativo, ha emanato leggi sempre più stringenti a tutela e protezione degli animali.

Si deve, tuttavia, precisare che l’animale, pur riconosciuto come “essere senziente”, non può godere di diritti propri, poiché privo della “capacità giuridica”, intesa come quell’attitudine a essere titolari di diritti e obblighi e che le persone fisiche acquistano con la nascita.

L'immagine raffigura la partita a carte tra cani di CM Coolidge

A Friend in Need, C. M. Coolidge, 1903

L’animale sarebbe il “beneficiario” della norme protettive, tra le quali spicca il divieto di uccisione e di maltrattamento, sanzionato dagli artt. 544 bis e ter C.p., che prevedono sanzioni severe sia di natura detentiva, sia pecuniaria con multe di migliaia di euro.

Il disvalore sociale di questi delitti è evidente, essendo entrambi connotati dalla crudeltà della condotta, definita dalla Cassazione come quel comportamento spinto da un motivo abbietto o futile, oppure che si riveli espressione di particolare compiacimento o di insensibilità. Questi reati sono perseguibili d’ufficio: significa che l’autorità giudiziaria avvierà il procedimento penale nel momento in cui riceverà la notizia di reato, indipendentemente dalla proposizione della querela da parte della persona offesa.

Autoritratto, Antonio Ligabue

Autoritratto, Antonio Ligabue

Secondo alcuni studi criminologici statunitensi, il maltrattamento di animali d’affezione è considerato un elemento indicativo della personalità, atteso che i soggetti che si macchiano di tali reati statisticamente presentano una capacità a delinquere più spiccata rispetto agli altri.

Apple Bouledogue Francais

Essere proprietari di un cane, un gatto o qualsiasi altro animale d’affezione impone una serie di obblighi di cura ben specificati nella Legge 281/1991: si dovrà rifornirlo di cibo e acqua, assicurare le cure veterinarie, garantire spazi per l’esercizio fisico, predisporre le precauzioni necessarie per evitare la fuga.

Dal 2005 ogni cane dovrà essere dotato di un microchip che consenta di risalire al proprietario: le finalità della norma sono molteplici, tra queste ricordiamo il contrasto all’abbandono dei cani nei mesi estivi, pratica scellerata ancora troppo diffusa.

L'immagine rappresenta un bouledogue francais con un gatto

Il Gatto, di A. Heier

Purtroppo, nonostante le numerose e incisive campagne di dissuasione, i dati sull’abbandono dei cani sono ancora elevati e sconfortanti: si pensi che, nel nostro paese, soltanto nel fine settimana dal 30 maggio al due giugno 2020 le segnalazioni sono state più di trecentocinquanta e, secondo il Ministero della Salute, il numero è in costante aumento.

Chi abbandona un animale si macchia di una condotta spregevole, esponendo consapevolmente un essere vivente a gravi sofferenze, se non alla morte, per cui rimane  l’auspicio di una precisa e solerte applicazione delle severe sanzioni previste dall’art. 727 C.p., che prevede l’arresto sino a un anno o una multa da 1.000,00 a 10.000,00 euro.

Plutone, Bouledogue Francais

Infine, merita un cenno la disciplina civilistica: secondo l’art. 2052 C.c. il proprietario  sarà sempre responsabile per i danni provocati dal proprio animale, salvo riesca a provare il caso fortuito; si tratta di dimostrare l’esistenza di un fattore esterno, che presenti i caratteri dell’imprevedibilità, dell’inevitabilità e della assoluta eccezionalità, il quale sia stato determinante nella causazione del danno. Nella pratica delle aule giudiziarie è una circostanza molto difficile da provare: per tali ragioni si raccomanda di prestare la massima attenzione nella custodia delle bestiole, mentre a protezione del patrimonio si potrà optare per la stipula una polizza assicurativa a garanzia delle richieste risarcitorie per danni provocati dal proprio amatissimo animale.

Apple, Bouledogue Francais

 

Per approfondire:

 

 Corte di Cassazione sentenza 19 giugno 1999, n. 9668

Corte di Cassazione sentenza 21 marzo 2017, n. 20934

Corte di Cassazione sentenza 25 settembre 2018 n. 22728

Volli, fortissimamente volli

La coscienza e volontà di un evento dannoso rappresentano il cuore del delitto.

Nel diritto penale il dolo è l’elemento più suggestivo e intrigante del crimine, rappresenta la diretta espressione della volontà della persona di compiere il reato. Si compone di due  elementi: il primo detto “rappresentazione”, la quale deve essere intesa come la visione da parte del reo del fatto penalmente rilevante; in questa fase, il soggetto  consapevolmente costruisce nella sua mente il crimine: valuta i presupposti, gli strumenti, i mezzi, il luogo e le caratteristiche della vittima. Il secondo presupposto  è la “risoluzione”, ossia la volontà della condotta rivolta all’effettiva realizzazione dell’evento dannoso.

Il dipinto raffigura il ladro di nidi di bruegel

Il ladro di nidi di Pieter Bruegel

Prendiamo a esempio il furto: il dolo si comporrà di una prima fase, nella quale il ladro individuerà il bene da rubare, valuterà le varie circostanze del caso, le abitudini della vittima, gli eventuali sistemi d’allarme, l’orario dell’azione e, quindi, passerà all’aspetto volitivo, decidendo di agire secondo le modalità ideate.

L'immagine raffigura il dipinto il ladro di Botero

Il Ladro di Fernando Botero

Il dolo, inteso quale elemento soggettivo del reato, nei delitti è la regola, mentre quelli colposi sono sempre tipicamente previsti dalla legge. Secondo il disposto dell’art. 43 C.p. l’evento di danno, rappresentato dalla lesione del bene protetto dall’ordinamento – si pensi alla vita, all’integrità fisica, o alla proprietà, solo per citarne alcuni – deve essere previsto e voluto dal soggetto agente come conseguenza della propria azione od omissione.

Il dolo non è unico nel suo genere: esso si manifesta con caratteri e intensità diversi, i quali sono particolarmente rilevanti sia sotto il profilo della valutazione della  pericolosità del reo, sia per quanto attiene alla quantificazione della sanzione penale.

Il dolo è diretto o intenzionale quando l’evento è voluto dal reo per la realizzazione del proposito delittuoso: la morte di Cesare era il risultato pensato e voluto dai congiurati.

L'immagine raffigura la morte di Cesare di Camuccini

La morte di Cesare di Vincenzo Camuccini

Il dolo è eventuale quando il soggetto è consapevole della possibilità che l’evento lesivo si verifichi e ne accetta consapevolmente il rischio: è il caso del soggetto che sa di essere affetto da patologia contagiosa e intrattiene rapporti a rischio con altri, accettando la possibilità di un probabile contagio.

L'immagine raffigura gli Amanti di Magritte

Gli Amanti di Magritte

Con riferimento all’intensità il dolo può essere d’impeto: pensiamo all’ira folle. Il caso più eclatante risale alla notte dei tempi con il fratricidio consumato da Caino invidioso  del rapporto di devozione di Abele nei confronti di Dio.

L'immagine raffigura Caino e Abele di Tiziano

Caino e Abele di Tiziano

Ai fini di un giudizio sulla pericolosità del reo, ma al di fuori della tematica del dolo, si colloca la premeditazione, prevista come aggravante speciale di taluni delitti: è caratterizza da un progetto delittuoso dettagliatamente studiato, il quale permane nella mente del soggetto per un certo intervallo di tempo, che ne rafforza sensibilmente il proposito criminoso.

E’ il caso di Giuditta, la quale riccamente abbigliata decise di uccidere Oloferne per liberare il suo popolo dall’assedio: si recò, quindi, nel suo accampamento, facendo credere al re assiro di sottomettersi al suo volere, ma Oloferne, dopo le abbondanti libagioni, cadde in sonno profondo: lei sfoderò la spada e diede attuazione al suo piano delittuoso, che completò portando con sé la testa del despota riposta all’interno di una cesta.

L'immagine raffigura il dipinto Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi

Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi

Ancora diverso è il movente, inteso come il motivo per cui il reo ha commesso il crimine: generalmente è irrilevante ai fini dell’illiceità del fatto, la quale non muta in virtù delle ragioni che per esempio hanno spinto il soggetto a provocare lesioni gravissime o la morte della sua vittima.

L'immagine raffigura il Cristo Morto di Andrea Mantegna

Il Cristo Morto di Andrea Mantegna

Soltanto in taluni casi i motivi hanno importanza e assurgono a elemento costitutivo del reato; in tali crimini la norma prevede che il fine della condotta sia parte integrante della fattispecie, è il caso del dolo specifico. La truffa è il tipico reato a dolo specifico, in quanto il soggetto pone consapevolmente in essere una serie di raggiri e artifizi per indurre in errore la vittima al fine di procurare a sé, o ad altri, un ingiusto profitto: questo quid in più – rappresentato  dall’ingiusto profitto – rispetto alla normale consapevolezza e volontà dell’evento lesivo  attribuisce rilevanza alle ragioni e finalità della condotta delittuosa.

L'immagine raffigura i Giocatori di carte di Rombouts

I Giocatori di carte di Theodore Rombouts

 

Per approfondire:

Per approfondire: Luigi Delpino, Diritto Penale Parte Generale, ed. Giuriche Simone 2000

Sotto una piccola stella

Chiedo scusa al caso se lo chiamo necessità.

Chiedo scusa alla necessità se tuttavia mi sbaglio.

Non si arrabbi la felicità se la prendo per mia.

Mi perdonino i morti se ardono appena nella mia memoria.

Chiedo scusa al tempo per tutto il mondo che mi sfugge a ogni istante.

Chiedo scusa al vecchio amore se do la precedenza al nuovo.

Perdonatemi, guerre lontane, se porto fiori a casa.

Perdonatemi, ferite aperte, se mi pungo un dito.

Chiedo scusa a chi grida dagli abissi per il disco col minuetto.

Chiedo scusa alla gente nelle stazioni se dormo alle cinque del mattino.

Perdonami, speranza braccata, se a volte rido.

Perdonatemi, deserti, se non corro con un cucchiaio d’acqua.

E tu, falcone, da anni lo stesso, nella stessa gabbia,

immobile con lo sguardo fisso sempre nello stesso punto,

assolvimi, anche se tu fossi un uccello impagliato.

Chiedo scusa all’albero abbattuto per le quattro gambe del tavolo.

Chiedo scusa alle grandi domande per le piccole risposte.

Verità, non prestarmi troppa attenzione.

Serietà, sii magnanima con me.

Sopporta, mistero dell’esistenza, se strappo fili dal tuo strascico.

Non accusarmi, anima, se ti possiedo di rado.

Chiedo scusa al tutto se non posso essere ovunque.

Chiedo scusa a tutti se non so essere ognuno e ognuna.

So che finché vivo niente mi giustifica,

perché io stessa mi sono d’ostacolo.

Non avermene, lingua, se prendo in prestito parole patetiche,

e poi fatico per farle sembrare leggere.

Wislawa Szymborska

L'immagine rappresenta l'opera Valchiria di Edward Robert Hughes

Valchiria, Edward Robert Hughes

Per approfondire:

La gioia di scrivere di Wislawa Szymborska, Ed. Adelphi