La sentenza, la giustizia e l’etica

Il capolavoro “Rue Saint-Honoré in Après midi, Effet de pluie” di Pisarro non sarà restituito alla famiglia di Lilly Cassier Neubauer.

Si conclude – per ora – un’altra fase dell’intricato caso giudiziario promosso da Claude Cassier oltre vent’anni fa per ottenere la restituzione del quadro di Pisarro “Rue Saint-Honoré in Après midi, Effet de pluie” proprietà del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid dal 1996.

Questi i fatti in breve: è certo che il dipinto conteso appartenesse a Lilly Cassier, la cui famiglia sin dalla fine dell’800 gestiva la galleria d’arte in Viktoriastrasse n. 35 a Berlino.

Nel 1939 Lilly Cassier per salvarsi dalle persecuzioni cedette il Pisarro ai nazisti per la cifra irrisoria di 300 DM, dopo di che la proprietaria non ebbe più alcuna notizia del quadro, nonostante le continue ricerche.

Soltanto nel 2005 il nipote Claude Cassier, in modo del tutto casuale, riconobbe capolavoro “Rue Saint-Honoré in Après midi, Effet de pluie” esposto nel Museo Thyssen-Bornemisza: immediatamente ne chiese la restituzione, avviando un complesso contezioso giudiziario che portò alla pronuncia della Corte Suprema degli Stati Uniti nell’aprile  2022.

Con una sentenza all’unanimità, la Corte accolse l’ultima impugnazione proposta dalla famiglia Cassier e rinviò il giudizio alla Corte d’Appello della California, affinché decidesse se applicare al caso la legge californiana oppure quella spagnola.

La decisione della Corte d’Appello di Pasadena è di questi giorni: i giudici con una decisione unanime hanno ritenuto applicabile al caso la legge spagnola e, pur affermando che il dipinto fu sottratto illegittimamente a Lilly Cassier dai nazisti, hanno riconosciuto in capo Museo Thyssen-Bornemisza la proprietà del capolavoro, in virtù di un acquisto in buona fede e di un possesso protrattosi senza alcuna interruzione per il tempo stabilito dalla legge ai fini dell’acquisto del diritto dominicale a titolo originario.

Per gli eredi Cassier Neubauer è stato un duro colpo, poiché negli ordinamenti anglosassoni vale il principio “nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet“, secondo cui nessuno può trasferire diritti maggiori di quanti ne abbia egli stesso, quindi, mai si può trasferire la proprietà di un bene appartenente ad altri.

Negli ordinamenti di civil law, come l’Italia o la Spagna, vige un principio diverso per i beni mobili, per i quali vale la regola del “possesso vale titolo” sancita dall’art. 1153 C.c.

Questa norma introdotta dal legislatore italiano per garantire la certezza nella circolazione dei beni mobili consente all’acquirente di diventare proprietario a titolo originario del bene qualora vi sia un contratto astrattamente idoneo, il possesso della cosa inteso come disponibilità effettiva del bene e la buona fede soggettiva dell’acquirente.

Interessante è il presupposto della buona fede soggettiva regolata dall’art. 1147 C.c.: secondo questa norma, è possessore in buona fede chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto. Trattasi di una condizione psicologica che deve sussistere al momento dell’acquisto del possesso, per cui il soggetto deve essere convinto di poter esercitare sul bene un potere corrispondente al diritto di proprietà, o altro diritto reale, senza ledere la sfera giuridica altrui, mentre è del tutto irrilevante che tale convinzione successivamente venga meno (Conf. Cass. Sent. n. 8918/1991 e n. 3097/1988).

Alla luce di questi principi, la vendita con consegna di un bene mobile – come potrebbe essere un’opera d’arte – a un soggetto in buona fede comporta che questi ne divenga il legittimo proprietario quand’anche la cosa sia di provenienza illecita o comunque non di proprietà del venditore.

In siffatte ipotesi, il vero proprietario mai potrà rivendicare il bene mobile dal legittimo nuovo proprietario, potendo rivolgersi soltanto al venditore per ottenere un risarcimento del danno, considerando, altresì, che la buona fede è sempre presunta pur potendo essere vinta da prova contraria anche attraverso indizi gravi, precisi e concordanti (Conf. Cass. 11285/1992 e 13920/1991).

Soltanto l’ignoranza gravemente colposa di ledere l’altrui diritto escluderà gli effetti dell’art. 1153 C.c. e quindi l’acquisto del bene: ma come si misura la colpa grave?

In linea di principio, la colpa grave è connotata di un’importante mancanza della dovuta diligenza da parte del soggetto acquirente: trattasi, quindi, di imprudenza, imperizia e/o negligenza; in altri termini, il compratore deve adoperarsi al fine di verificare l’inesistenza di elementi tali da indurlo a dubitare della legittima provenienza del bene o della titolarità della cosa in capo al dante causa.

Spostando tutto questo nell’ambito delle opere d’arte, l’acquirente accorto valuterà le prove e i documenti che attestino la proprietà del bene in capo al venditore e la provenienza dell’opera d’arte risalendo indietro nelle cessioni possibilmente sino all’artista. L’operazione può essere complessa, ma deve essere eseguita con accortezza e attenzione, eventualmente rivolgendosi a esperti del settore.

È pacifico che la soglia della diligenza imposta al soggetto esperto o professionista, in quanto collezionista o mercante d’arte, sia più alta e più specifica rispetto a quella richiesta al semplice consumatore.

Tornado al caso del Pisarro sottratto: vi sono molteplici elementi che depongono per una Due Diligence approssimativa sotto il profilo della provenienza dell’opera d’arte al momento dell’acquisto da parte di soggetti molto esperti. Infatti, nel corso di uno dei diversi gradi di giudizio di questo intricato caso è emerso che il Barone Hans Heinric Thyssen-Bornemisza, grande collezionista, nel 1976 all’atto dell’acquisto del bene dalla Hahn Gallery di New York, avrebbe dovuto essere più accorto e consultare gli esperti del settore che certamente conosceva, data la peculiarità e l’importanza del dipinto.

Salotto di casa Cassier

Invece, le numerose “Red Flags”, o elementi indiziari, circa una dubbia provenienza furono del tutto ignorati. In particolare, sarebbe bastato prestare attenzione alle etichette parzialmente rimosse dal retro del quadro dove ancora si leggeva “Vikto” e “Berlin”, corrispondenti a Viktoriastrasse e Berlino, oltre “Kunst und Ve” attribuibili a “Kunst und Verlagsantal”, ovvero la Galleri di Bruno e Paul Cassier.

Retro di quadri

Oltre a questi indizi, non si sarebbe dovuto tralasciare che il quadro era sparito in concomitanza con le razzie naziste e che la reclamante era l’erede di una famiglia ebrea.

Nella realtà, pare che né la Hahn Gallery né il Barone Thyssen-Bornemisza all’atto dell’acquisto abbiamo prestato la dovuta attenzione ai particolari descritti, nonostante la prima fosse un soggetto professionista, mentre l’altro un collezionista molto esperto.

La Corte d’Appello americana nella sentenza del 10 gennaio 2024 ha riconosciuto che il dipinto conteso era di proprietà della famiglia Cassier ma, decidendo di applicare il diritto privato spagnolo, ha ritenuto che l’acquisto da parte del Museo madrileno avvenne in buona fede, mancando la prova del contrario.

Corte d’Appello di Pasadena

In ogni caso, erano anche trascorsi i tre anni previsti dalla legge per il perfezionarsi dell’usucapione abbreviata senza che nel frattempo fosse intervenuta alcuna interruzione del possesso, la quale può determinarsi soltanto in caso di apertura di un giudizio contenzioso.

Il Museo Thyssen-Bornemisza è, quindi, il proprietario del dipinto, tuttavia, non possono essere dimenticati i principi della convenzione di Washington del 1998, nonché quelli della Convenzione del 2009 firmata da quarantanove Stati compresa la Spagna, in virtù dei quali il dovere di restituzione della “Looted Art” (arte razziata) è un obbligo etico e morale.

Giudice Consuelo Callahan

Al riguardo la Giudice Consuelo Callahan ha scritto che “il governo spagnolo avrebbe dovuto “cedere volontariamente” il dipinto alla famiglia in base a un accordo internazionale sulla restituzione delle opere d’arte saccheggiate dai nazisti che la Spagna e dozzine di altri paesi hanno firmato nel 2009”.

Vedremo se gli accordi etici e quel vento di riparazione e restituzione che oggi pare soffiare un po’ più intensamente porterà a una soluzione giusta ed equa per entrambe le parti, così da chiudere questo lungo contenzioso anche sotto il profilo morale.

Per approfondire:

 

Il disegno perduto di John Constable

Un ritrovamento inaspettato: dopo quarant’anni finalmente ricompare un magnifico disegno a olio di John Constable. Interessante e complessa la Due Diligence eseguita per accertare la paternità dell’opera.

View of the back of Willy Lott’s House with Lon-cutter” è un disegno a olio che Constable realizzò nel 1814: raffigura il retro del cottage di Willy Lott, il fattore che viveva nel piccolo borgo di Flatford, a nord del fiume Stour, nel Suffolk dove l’artista dipingeva all’inizio della carriera.

Il luogo e la casa compaiono anche in altri due capolavori dell’artista “The Hay Wain” del 1821, custodito presso la National Gallery

The Hay Wain

e “The Valley Farm” del 1835, esposto alla Tate Britain

The Valley Farm

Il dipinto appartenuto a una collezione privata è stato ritrovato in una villetta nel paese di Guernsey, dopo la morte dell’ultimo proprietario: collocato in un angolo buio della casa, ha attratto l’attenzione di uno dei dipendenti della Martel Maides Auctions.

L’esperto della Casa d’Aste MMA, Jonatan Voak, ha riconosciuto che il lavoro di attribuzione si è rivelato lungo e complesso: vi erano forti dubbi sulla paternità dell’opera in capo a Constable, poiché  quella tipologia di pittura all’epoca era molto diffusa, per cui è stato necessario procedere con grande accuratezza sia nell’esame dell’opera sia nell’accertamento della sua provenienza.

Jonatan Voak

L’esame visivo del disegno ha subito offerto interessanti elementi, primo tra tutti l’iscrizione della data in alto a sinistra “Giugno 1814”, confermata anche da una datazione apposta sul retro, ma da mano diversa.

La cornice inglese del XIX secolo porta l’iscrizione in basso del titolo dell’opera “Willy Lott’s House Flatford” e più sotto si trova la targa con l’anno di nascita (1776), il nome di J. Constable e la data della morte (1837).

Interessante la ricostruzione della provenienza dell’opera: da un attento esame di un’etichetta posta sul retro si è potuto accertare che il quadro appartenne al nipote dell’artista, Hugh Golding Constable, il quale nel 1899 lo vendette ai mercanti d’arte Leggatts Brothers.

Successivamente fu individuato con n. 14 “Willy Lott’s House” nella prima mostra dedicata a John Constable tenutasi nel novembre 1899 presso la Cornhill Gallery.

Gli ulteriori passaggi della titolarità rimandano a Caroline M. G. Williams che ereditò il disegno dai nonni e dopo di lei, venuta a mancare nel 2018, si è aperta l’ultima successione che ha riportato l’opera alla luce.

Nell’ambito del percorso di Due Diligence artistica tesa ad accertare la paternità dell’opera, è stato determinante il contributo di Anne Lyles[1], esporta studiosa di Constable, la quale ha trovato interessanti riscontri nel Catalogo di Robert Hoozee, edito da Rizzoli nel 1979, dove il disegno risulta essere incluso, oltre ad aver brillamentemente proposto una comparazione  con uno schizzo conservato al Royal Albert Memorial Museum di Exeter,

spiegando “ … che – quest’ultimo schizzo- fu catalogato da Graham Reynolds come ‘Una casa in mezzo agli alberi’ (G. Reynolds, Early Paintings and Drawings, n. 14.25). Sia Reynolds che lo studioso di Constable Ian Fleming-Williams descrissero la fattoria nel disegno … come una fattoria del Suffolk non identificata (Constable: a Master Draughtsman, Dulwich Picture Gallery, 1994, vedi cat. 25 e pp 136-8). Tuttavia, è ormai chiaro che sia il disegno sia lo schizzo a olio mostrano effettivamente la Willy Lott’s House, l’edificio a Flatford che appare in due dei dipinti più famosi di Constable, The Hay Wain, 1821 (National Gallery) e The Valley Farm, 1835 (Tate Britain), ma sul retro da un’angolazione insolita…”

Gli elementi raccolti con l’esame visivo, la dettagliata ricostruzione della provenienza del dipinto, il richiamo ai Cataloghi ragionati insieme alla precisa correlazione con altre opere dell’artista, hanno portato a ritenere, con buona probabilità,  che l’opera sia attribuilbile a John Constable, come sostenuto anche da parte di Sarah Cove conservatrice accreditata di dipinti e autorità riconosciuta sul lavoro di Constable.

Il disegno ritrovato sarà venduto all’asta da Martel Maides Auctios il prossimo 21 settembre 2023, per un prezzo stimato tra £ 80.000- £ 120.000, con l’auspicio che in futuro questo capolavoro ritrovato non ritorni nell’ombra, ma possa ancora mostrare al mondo quella tenue luce diffusa unica di Constable, così mutevole al susseguirsi delle stagioni.

 

 

Per approfondire:

[1] “Questo affascinante schizzo a olio, datato da Constable ‘Giugno 1814’ in alto a sinistra, è stato registrato l’ultima volta nella letteratura accademica sull’artista nel 1979, quando fu catalogato da Robert Hoozee in un catalogo ragionato dell’opera dell’artista pubblicato da Rizzoli. Riappare così ora qui, sul mercato, dopo un intervallo di oltre quarant’anni. Il disegno ha una solida provenienza che risale al diciannovesimo secolo, quando era di proprietà del nipote di Constable, Hugh Golding Constable (1868-1949)…”[1] in https://www.easyliveauction.com/catalogue/lot/df76dd8cca3a80205d8571b66c927798/0af8d24542e81eb9357e7ef448a6646f/autumn-catalogue-sale-f90036-lot-655/

https://artslife.com/2023/09/01/uno-schizzo-riscoperto-di-john-constable-arriva-in-asta-e-stima-fino-a-120-mila-sterline/

https://www.theguardian.com/artanddesign/2023/sep/01/constable-painting-of-alternative-hay-wain-scene-rediscovered

https://www.bbc.com/news/world-europe-guernsey-66659497

https://www.thetimes.co.uk/article/lost-constable-painting-found-in-private-collection-q080s0vj3

IL CAPOLAVORO RUBATO, L’ETICA E LA GIUSTIZIA NEGATA

La ricerca di un quadro rubato diventa un intricato e avvincente caso giudiziario pendente da quasi vent’anni: quando le norme di legge portano a sentenze distanti dall’etica, dalla morale e dalla giustizia.

Germania. Marzo 1939. Lilly Cassier Neubauer, erede della famiglia ebrea Cassier, per salvarsi dalle persecuzioni naziste è costretta a cedere uno dei suoi beni più preziosi: si tratta del celebre olio su tela “Rue Saint-Honoré in Après midi, Effet de pluie”, dell’impressionista Camille Pisarro. Il prezzo pagato per il capolavoro, oggi valutato più di trenta milioni di euro, fu davvero irrisorio, considerato che vennero consegnati soltanto un paio di visti per l’espatrio ed accreditati su un conto corrente bloccato RM 300,00.

Lilly Cassier e il nipote Klaus si salvarono dall’odio nazista e dopo un viaggio rocambolesco attraverso l’Inghilterra, si rifugiarono negli Stati Uniti, dove il nipote assunse il nome di Claude Cassier.

 

Finita la guerra, Lilly Cassier cercò di recuperare il quadro, ma non ne trovò mai alcuna traccia, per cui, nella convinzione che il dipinto fosse andato distrutto, nel 1959 accettò dal Governo tedesco un indennizzo di $ 13,000.00, apparentemente senza aver rinunciato all’eventualità di ritrovare l’opera d’arte e rientrarne in possesso.

 

Lilly Cassier morì a Cleveland, Ohio, nel 1962 e per quarant’anni del dipinto non si seppe più nulla, sino a quando nel 2005, il nipote Claude Cassier quasi per caso scoprì che il capolavoro era – ed è tutt’ora – esposto nel Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid.

Si accertò che il quadro fu acquistato dal Governo spagnolo nel 1993, insieme all’intera Collezione d’arte del Barone Hans Heinric Thyssen-Bornemisza, il quale a sua volta aveva acquistato il dipinto di Pisarro nel 1976 dalla Hahn Gallery di New York.

 

Claude Cassier avviò un lungo e complesso procedimento giudiziario, ancora pendente, nei confronti della Spagna per ottenere la restituzione del dipinto: la vertenza si snoda su diversi piani giuridici che spaziano dalle questioni attinenti alla giurisdizione, alla legislazione applicabile e infine alla decisione sul merito.

 

Ma in gioco vi è molto di più: si tratta dei principi etici e morali che impongono la restituzione delle opere rubate dai nazisti ai legittimi proprietari, nonché all’osservanza delle regole di buona fede, correttezza e trasparenza dettate per il buon funzionamento del mercato, le quali mai possono prescindere dall’esecuzione di un adeguato e puntuale accertamento sulla provenienza e autenticità delle opere d’arte.

Nel caso dell’acquisto del capolavoro appartenuto alla famiglia Cassier, i soggetti che ne vennero in possesso avrebbero dovuto effettuare accertamenti ben più approfonditi circa la provenienza del dipinto, poiché vi erano diverse “Red flags”, ovvero indizi ed elementi, in ragione dei quali sarebbe stato opportuno effettuare maggiori verifiche.

In particolare, sarebbe bastato prestare attenzione alle etichette, parzialmente rimosse dal retro del quadro, dalle quali ancora si poteva evincere che l’opera proveniva da Berlino e si sarebbe anche potuti risalire alla Galleria di Bruno e Paul Cassier, proprietari del dipinto prima della guerra.

Pare che la Hahn Gallery al momento della vendita avesse omesso di approfondire questi aspetti sulla provenienza, ai quali neppure il Barone Thyssen-Bornemisza prestò attenzione, nonostante fisse un collezionista esperto.

Inoltre, si doveva considerare come fossero ben noti e provati i numerosi saccheggi perpetrati dai nazisti a danno sia degli Stati occupati sia dei privati.

 

Ma torniamo alla nostra storia: il Tribunale Federale di Los Angeles, escludendo l’applicazione del FSIA (Foreign Sovereing Immunities Act), secondo cui gli Stati stranieri non potrebbero essere sottoposti alla giurisdizione americana, riconobbe la Giurisdizione del Tribunale Federale, il quale applicando le norme federali decise che la questione dovesse essere regolata dal diritto privato spagnolo.

In ragione di tali norme, la Corte Federale ritenne che il Museo spagnolo fosse il proprietario dal dipinto, sulla base del possesso continuato per un periodo di almeno sei anni, indipendentemente dall’eventuale provenienza illecita del bene.

 

I legali della famiglia Cassier appellarono la sentenza di primo grado, contestando la decisione anche sotto il profilo della mancata due diligence, intesa come quell’insieme di accertamenti tesi ad verificare e confermare l’autenticità e provenienza delle opere d’arte, sia da parte del Barone Von Thyssen-Bornemisza nel 1976, sia del Museo spagnolo nel 1993.

La decisione della Corte d’Appello confermò la sentenza di primo grado, precisando, altresì, che né il Barone né il Museo all’atto dell’acquisto del quadro avessero allora conoscenza del fatto che si trattasse di un bene rubato.

Corte Suprema degli Stati Uniti d’America

La svolta del caso risale all’aprile 2022, quanto la Corte Suprema degli Stati Uniti ha accolto l’ultima impugnazione proposta dalla famiglia Cassier, pronunciando una sentenza che potrebbe ribaltare il caso: il Giudice Elena Kagan ha affermato “A foreign state or instrumentality… is liable just as a private party would be. That means the standard choice-of-law rule must apply.” (Uno Stato o ente straniero… è responsabile proprio come lo sarebbe un privato. Ciò significa che deve essere applicata la norma standard sulla scelta della legge). La Corte Suprema all’unanimità ha ritenuto che le norme sulla scelta della legge debbano rispecchiare anche le norme che si applicherebbero in un’analoga causa tra parti private.

Giudice della Corte Suprema Elena_Kagan

Quando il tribunale di grado inferiore ha applicato le norme federali sulla scelta della legge spagnola- ha stabilito il Giudice Kagan – si è creata una discrepanza tra la responsabilità della fondazione (Museo spagnolo) e quella di un imputato privato.

Quindi, se nel prossimo giudizio di rinvio i Giudici riterranno applicabile la normativa californiana, con buone probabilità i Cassier potrebbero uscire vittoriosi dall’annosa vertenza, atteso per l’ordinamento giuridico stantunitense nessuno può trasferire  un diritto ad altri se non ne è il titolare, per cui nessuna opera rubata razziata potrà essere acquistata da un terzo.

Questo complesso caso giudiziario si intreccia con i principi etici e morali riconosciuti dalla Conferenza di Washington del 1998, applicabili alle opere confiscate dai nazisti. Tali principi, pur non avendo valore precettivo, dovrebbero illuminare le scelte dei possessori di opere d’arte di dubbia provenienza, affinché si promuova la restituzione dei beni sottratti ai legittimi proprietari durante la Seconda guerra mondiale, o comunque, si sostenga la conclusione di accordi che possano avere anche un valore riparatorio rispetto ai gravi torti subiti.

 

 

Per approfondire:

https://www.jdsupra.com/legalnews/thyssen-bornemisza-prevails-over-89143

“Le opere d’arte e le collezioni” G. Calabi, S. Hecker, R. Sarro, A. Busani, 2020 Cedam Wolters Kluwer

https://www.we-wealth.com/news/pleasure-assets/Arte/pissarro-cassirer-barone-bornemisza

https://www.artnews.com/art-news/news/the-u-s-supreme-court-sends-decades-long-case-over-nazi-looted-pissarro-back-to-california-court-1234626316/

Immagine in evidenza: “Rue Saint-Honoré in Après midi, Effet de pluie”, Camille Pisarro, 1897-1898

 

 

Dialoghi senza tempo

Il ritrovamento di un tesoro sommerso è una porta del tempo: ci permette di passare tra due mondi quello passato e il presente.

Una spada risalente a circa 900 anni fa è stata ritrovata nelle acque israeliane della costa di Carmel, al largo della città di Haifa: la baia dove il reperto è stato rinvenuto è nota per restituirci testimonianze di un passato lontano, avendo offerto per secoli riparo e un approdo sicuro alle navi dell’antichità.

Secondo gli esperti l’arma è appartenuta un guerriero crociato, avventuratosi in una delle numerose guerre di religione iniziate nel 1095, grazie alle quali i Cristiani europei, supportati dalla Chiesa, intendevano liberare i luoghi santi.

Spada sommersa

L’arma ritrovata è in condizioni perfette: il mare l’ha impreziosita con i suoi organismi, regalandole il fascino della memoria.

La spada del Crociato evoca la suggestione del ritrovamento del tesoro sommerso che ha ispirato l’arte contemporanea dell’inglese Damien Hisrt attualmente in mostra a Villa Borghese nell’evento “Archeology now”.

Archeology Now, Damien Hirst, Villa Borghese, Roma

Archeology Now, Damien Hirst, Villa Borghese, Roma

Nelle sale della Villa che fu del Cardinale Scipione si svolge un dialogo senza tempo tra la Bellezza perfetta e virtuosa del Bernini e quella che vuole essere specchio della contemporaneità, con le sue contraddizioni in bilico tra realtà e fantasia.

Anche la spada ritornataci dal mare potrebbe essere un pezzo del “Treasures from the Wreck of the Unbelievable”, il tesoro ripescato di Hirst, connotato da un controcanto sempre fiabesco dai tratti dissacranti, originali e di forte impatto visivo.

Cerberus, Damien Hirst, Galleria Borghese, Roma

Cerberus, Damien Hirst, Galleria Borghese, Roma

Nota giuridica. se mai vi capitasse di imbattervi in un reperto archeologico, ricordate che:

  • Dovete denunciare il ritrovamento del bene archeologico entro ventiquattro ore al Soprintendente, o al Sindaco, ovvero all’Autorità di pubblica sicurezza.
  • Provvedete alla conservazione temporanea dei reperti rinvenuti, lasciandoli nelle condizioni e nel luogo di rinvenimento. Se si tratta di beni mobili dei quali non se ne possa assicurare la custodia sul posto della scoperta, lo scopritore ha la facoltà di rimuoverli per meglio garantirne la sicurezza e la conservazione sino all’arrivo dell’autorità competente e, ove occorra, può richiedere l’ausilio della forza pubblica.
  • Tenete presente che ai sensi dell’all’art. 92 del “Nuovo Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” è previsto un premio per il ritrovamento fortuito sia allo scopritore, sia al proprietario dell’immobile dove è avvenuto il ritrovamento, sia al concessionario dell’attività di ricerca autorizzata dal Ministero della Cultura. Il premio può essere corrisposto in denaro o mediante rilascio di parte delle cose ritrovate e sarà determinato in base alle stime ufficiali effettuate dal Ministero.

    Spada del Crociato

     

     

Per approfondire:

Per approfondire: http://www.carabinieri.it/cittadino/consigli/beni-interesse-culturale/beni-d’interesse-culturale

PROMESSA D’ARTISTA

Il recente romanzo “L’Amante di Rembrandt”, scritto da Simone Van Der Vlugt, narra la storia vera di Geertje Dircx, giovane amante del Maestro Rembrandt Van Rijn, riabilitandone, semmai fosse possibile con un libro, la figura dopo quasi quattrocento anni.

L’interessante ricostruzione storica dell’autrice rievoca il complesso caso giudiziario che ebbe come protagonista la giovane Geertje Dircx, assunta come bambinaia presso la casa dell’artista poco prima della morte di sua moglie Saskia.

Saskia in veste di Flora, Rembrandt, National Gallery, Londra

Saskia in veste di Flora, Rembrandt, National Gallery, Londra 

Dopo il lutto, tra la ragazza e il Maestro nacque una storia d’amore, coronata dal dono dei preziosi gioielli appartenuti alla defunta moglie dell’artista. Considerato il valore dei monili, Rembrandt indusse la compagna a sottoscrivere un testamento in virtù del quale alla sua morte i gioielli sarebbero stati ereditati da Titus il figlio dell’artista.

Titus allo scrittoio, Rembrandt, Museum Boymans Van Beunigen

Titus allo scrittoio, Rembrandt, Museum Boymans Van Beunigen

La liaison durò qualche anno e, nonostante la fama e il prestigio del maestro ad Amsterdam, la convivenza della coppia fu sempre mal tollerata dalla società; la relazione si concluse con il più classico dei cliché: Rembrandt, dopo essersi perdutamente innamorato di Hendrickje Stoffels, giovane cameriera neoassunta, mise rapidamente Geertje alla porta.

La donna senza più un alloggio né un lavoro, dopo un primo attimo di sbandamento connotato dalla poco felice idea di alloggiare in una locanda dove altre ospiti esercitavano il mestiere più antico del mondo, decise di far valere i propri diritti.

Infatti, se è vero che oggi in Italia la convivenza di fatto garantisce ben poche tutele agli ex innamorati, nell’Olanda del ‘600, la situazione era un po’ diversa: fu così che Geertje Dircx avviò con il Maestro una vera e propria negoziazione diretta a ottenere una somma a titolo di mantenimento, sulla base dell’esistenza di una “promessa di matrimonio” infranta.

Autoritratto, Rembrandt, Rjiksmuseum, Amsterdam

Autoritratto, Rembrandt, Rjiksmuseum, Amsterdam

All’esito di rapide trattative sembrò che le parti fossero pronte ad addivenire a un accordo, secondo cui Rembrandt avrebbe versato all’ex compagna una somma mensile di 160,00 fiorini, ma Geertje si rifiutò di firmare, ritenendo la somma offerta troppo esigua e del tutto insufficiente a garantirle il sostentamento necessario in caso di malattia.

La ragazza trascinò, quindi, Rembrandt in Tribunale: all’epoca la legge olandese prevedeva che, nei casi di promessa matrimoniale non mantenuta, potesse essere imposta la celebrazione del matrimonio, oppure fosse riconosciuto il diritto alla corresponsione di una somma di denaro, o di una rendita.

Nonostante la ferma resistenza del pittore, Geertje vide ampiamente accolta la propria domanda: i giudici ritennero i fatti pacificamente dimostrati dal dono dei gioielli di Saskia, per cui condannarono Rembrandt al pagamento di un mantenimento a favore dell’ex compagna, oltre al versamento di una somma di 200 fiorini con i quali Geertje avrebbe dovuto riscattare un paio di bracciali precedentemente impegnati per procurarsi del denaro per il proprio sostentamento. La sentenza prevedeva, altresì, che alla morte della donna i gioielli sarebbero stati destinati al figlio di Rembrandt, per cui le era fatto divieto di venderli o darli in pegno.

I Sindaci dei Drappieri, Rembrandt, Rjiksmuseum, Amsterdam

I Sindaci dei Drappieri, Rembrandt, Rjiksmuseum, Amsterdam

Poco tempo dopo la pronuncia del Tribunale, Geertje – pare su insistenza del fratello – diede i gioielli in garanzia: venuto a conoscenza della circostanza, Rembrandt, noto per il carattere iroso e vendicativo, si adoperò in ogni modo per far condannare l’ex compagna a una pena esemplare.

La denuncia ebbe a oggetto non soltanto la violazione del disposto della sentenza, ma soprattutto l’accusa del reato ben più grave di prostituzione. Come prova di quanto asserito, Rembrandt si procurò dei testimoni che confermarono soltanto la permanenza per qualche tempo di Geertje Dircx presso una locanda nota per i facili costumi delle frequentatrici, nessun altro indizio circa la condotta delittuosa emerse dal processo.

Nonostante l’inconsistenza probatoria circa l’accusa di meretricio, Geertje fu condannata a dodici anni di reclusione. Ogni ricorso, petizione per mitigare la severità della sanzione  furono sempre ostinatamente rifiutati, anche per le continue pressioni di Rembrandt rivolte ai notabili del paese: l’artista era determinato a far scontare l’intera pena all’ex compagna. Soltanto dopo cinque anni, ormai seriamente malata, Geertje riuscì a ottenere la grazia a seguito del ricorso presentato da un’amica.

Ritratto di Hendrickje Steffels, Rembrandt

Se possibile, la sorte di Hendrickie Stoffels fu ancor peggiore di quella riservata a Geertje: neppure l’ex cameriera riuscì a farsi sposare da Rembrandt, dal quale tuttavia ebbe una figlia e per tale ragione fu deferita alla Corte ecclesiastica con l’accusa di concubinaggio.

La figura e la storia di Geertje Dircx sono state oscurate per secoli: la donna che quattrocento anni addietro agì per tutelare i propri diritti, fu sbrigativamente apostrofata come un’approfittatrice scaltra e priva di scrupoli, ferma nell’estorcere denaro e ricchezze al Maestro.

Soltanto dopo il 1960 l’intento di proteggere l’immagine di un’icona nazionale come Rembrandt ha evidenziato le prime incrinature: da allora gli studiosi grazie agli archivi storici hanno ricostruito questa complessa vicenda, che pare si sia conclusa con una condanna del Maestro al risarcimento dei danni procurati a Geertje per ingiusta detenzione.

Ai giorni nostri non sarebbe pensabile l’imposizione di un obbligo a sposarsi, poiché il consenso liberamente espresso dai nubendi è elemento costitutivo per il perfezionamento del vincolo coniugale.

Il Bacio, Hayez, Pinacoteca di Brera

Il Bacio, Hayez, Pinacoteca di Brera

L’art 79 C.c. specifica che la promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo, né a eseguire quanto si fosse eventualmente convenuto in caso di inadempimento: quindi, l’esistenza di una relazione amorosa, quand’anche connotata da una convivenza pluriennale e dalla presenza di figli, non è idonea a far sorgere un obbligo a sposarsi.

Esiste, tuttavia, la promessa di matrimonio, ovvero il cosiddetto fidanzamento ufficiale, inteso quale impegno della coppia rappresentato ai familiari e amici di volersi frequentare per addivenire responsabilmente alla celebrazione dello sposalizio. In questo caso, la rottura del fidanzamento può determinare l’obbligo alla restituzione dei doni fatti dal promittente a causa della promessa di matrimonio; il termine per proporre questa azione è particolarmente breve: appena un anno dal giorno in cui il richiedente ha ricevuto la notizia della rottura del fidanzamento.

Sposalizio della Vergine, Raffaello, Pinacoteca di Brera

Sposalizio della Vergine, Raffaello, Pinacoteca di Brera

Qualora la promessa di matrimonio sia effettuata dai nubendi con atto pubblico o scrittura privata autenticata, oppure risultante dalla richiesta delle pubblicazioni, il promittente che, senza giustificato motivo rompe il fidanzamento, oppure il nubendo che per sua colpa giustifica il rifiuto di sposarsi dell’altro, sarà tenuto al risarcimento del danno, limitatamente alle spese sostenute e alle obbligazioni contratte in ragione della promessa matrimoniale. Anche in questo caso l’azione si prescrive nel breve termine di un anno dal rifiuto. (Vedasi art. 81 C.c.)

Una storia d’amore intessuta senza un fidanzamento ufficiale, oppure al di fuori delle ipotesi dell’art. 81 C.c., non determinerà il sorgere di diritti di alcun genere, né conseguenze giuridiche di qualsivoglia natura, in quanto essa sorge, si svolge e si conclude con i connotati di una permanente e illimitata libertà reciproca ed è soltanto questa che acquista rilevanza nel mondo del Diritto, mentre ogni altra implicazione rimane affidata all’aspetto dei doveri morali, etici e sociali.

Amore e Psiche, Canova, Musée du Louvre, Parigi, dettaglio

Amore e Psiche, Canova, Musée du Louvre, Parigi, dettaglio

 

 

 

 

Per approfondire:

Per approfondire:

“L’amante di Rembrandt Storia di un amore proibito”, di Simone Van Der Vlugt, Piemme 2021

“Rembrandt” di Philippe Daverio, Corriere della Sera

Corte di Cassazione sentenza n. 7064 del 29/11/1986

Corte di Cassazione sentenza n. 3015 del 2/5/1983

Corte di Cassazione sentenza n. 539 del 21/2/1966

La ricerca della perfezione: arte, matematica e diritto

“Le forme create da un matematico, come quelle create dal pittore o dal poeta, devono essere belle”, Godfrey H. Hardy in “Apologia di un matematico”

Arte e matematica sembrano distanti: la prima espressione della Bellezza e della creatività umana, mentre la seconda appare confinata nel solo ambito puramente scientifico, connotata da un linguaggio numerico freddo e astratto.

Non è così: queste due sfere della cultura sono profondamente connesse e dal loro intreccio sono proliferati grandi capolavori.

Piero della Francesca fu tra primi a comprendere l’importanza della geometria per la corretta rappresentazione dello spazio sulla tela; la summa dei suoi studi venne raccolta nel trattato “De Pospectiva Pingendi” (1472-1475), dove l’artista illustrò le tecniche prospettiche delle figure piane, dei solidi in prospettiva, sino alla spiegazione delle figure più complesse.

Il Tempietto di Colledestro nel De Prospectiva Pingendi

Il Tempietto di Colledestro nel De Prospectiva Pingendi

L’elaborato di Piero della Francesca fu il frutto dell’intenso rapporto con Luca Pacioli, nato a Borgo San Sepolcro, nei pressi di Arezzo nel 1445:

Ritratto di Luca Pacioli J. de' Barbari, Museo Nazionale di Capodimonte (1495)

Ritratto di Luca Pacioli J. de’ Barbari, Museo Nazionale di Capodimonte (1495)

Pacioli fu uno studioso ecclettico che inizialmente si dedicò all’aritmetica commerciale – dobbiamo lui l’invenzione del sistema di contabilità a partita doppia – per poi rivolgere il proprio interesse all’attività di insegnamento e puro studio della matematica, dell’algebra, nonché della geometria, stringendo proficue collaborazioni anche con Leonardo Da Vinci e Leon Battista Alberti.

Nel 1509 Pacioli scrisse il trattato “De Divina Proportione”, divenuto un pilastro della storia dell’arte e dedicato allo studio della sezione aurea, la quale da sempre rappresenta il parametro della proporzione perfetta, canone assoluto di armonia e bellezza.

Formula della divina proporzione

Formula della divina proporzione

Il matematico commissionò a Leonardo le illustrazioni di una serie di solidi costruiti partendo dal rapporto aureo: il Maestro fiorentino realizzò una splendida sequenza acquerelli raffiguranti perfette figure geometriche, le quali durante i fasti del rinascimento furono d’ispirazione per le decorazioni di stanze e palazzi.

Poliedri di Leonardo per Luca Pacioli

Poliedri di Leonardo per Luca Pacioli

Anche in tempi successivi la proporzione aurea è rimasta il cardine dell’arte: il ‘900 aprì le porte alla sperimentazione di nuove forme espressive che si distanziarono dall’immagine figurativa in senso stretto per volgere a concetti molto più liberi, privi delle costrizioni connesse alla rappresentazione della realtà. La creatività divenne concettualismo artistico, puro pensiero, impatto visivo ed emozione.

Sezione aurea

Sezione aurea

Le forme geometriche trovarono ulteriore spazio nell’estetica frattale, di cui fu maestro indiscusso Maurits Cornelius Escher, il quale per realizzare gli effetti prospettici dei suoi lavori anticipò scoperte matematiche, tanto che nel 1961 la prestigiosa rivista Scientific American gli dedicò un articolo sul rapporto tra l’arte e la matematica.

Giorno e notte Maurits Cornelis Escher, 1938

Giorno e notte Maurits Cornelis Escher, 1938

Esempi di geometria frattale Escher

Esempi di geometria frattale Escher

Le forme geometriche di Escher si ripetono su grandezze diverse e sono sempre tese alla ricerca dell’infinito, rappresentato dal replicarsi – e nello stesso tempo trasformarsi – della forma nello spazio.

Reptiles, Maurits Cornelis Escher 1943

Reptiles, Maurits Cornelis Escher, 1943

I parametri matematici, compreso il rapporto aureo, trovano vasta applicazione ancora oggi, poiché conferiscono all’immagine grande forza comunicativa. Tommaso D’Acquino sosteneva che “I sensi si dilettano con le cose che hanno le corrette proporzioni”: questo può considerarsi il principio ispiratore dell’iconica mela morsicata, del simbolo dell’iCloud e di Twitter, tutti realizzati secondo i canoni aurei.

Logo Apple con proporzione aurea

Logo Apple con proporzione aurea

Logo iCloud

Logo iCloud

Logo Twitter

Come nell’arte e nelle diverse forme di comunicazione, anche nel diritto la matematica sta trovando sempre maggior spazio, introducendo forme sperimentali di interpretazione delle leggi grazie a specifici algoritmi.

 

La ricerca della “decisione perfetta” sta conducendo alle sperimentazioni di “Judge profiling”, consistente nell’utilizzo di algoritmi matematici in grado di prevedere la decisione del giudice.

Il principio ispiratore sotteso è rappresentato dalla certezza del diritto, intesa come chiarezza, conoscibilità e univocità delle norme, le quali dovrebbero essere coerentemente interpretate e applicate dall’autorità giudiziaria, cosicché i consociati siano in grado di prevedere con ragionevolezza le conseguenze di una certa condotta o situazione.

Giustizia predittiva

Giustizia predittiva

L’ambizione di rendere “calcolabile” l’esito di un giudizio grazie a un computer, pur essendo un fine pregevole sotto il profilo della certezza, dell’eguaglianza e conformità delle decisioni di casi analoghi, si scontra con aspetti nebulosi di natura etica e giuridica.

Invero, la “decisione” del caso rimessa esclusivamente all’Intelligenza Artificiale (AI) richiederà che l’algoritmo informatico proceda al confronto della fattispecie concreta con una serie di complessa e vasta di dati (norme applicabili, orientamenti giurisprudenziali di legittimità, di merito, decisioni per casi analoghi, circostanze particolari…):  per garantire la qualità e sicurezza della decisione, tali dati dovranno avere provenienza certificata sia per l’originalità sia per l’integrità; inoltre, anche la metodologia di analisi dovrà essere trasparente, equa e imparziale.

Diritto e Intelligenza Artificiali

Diritto e Intelligenza Artificiale

Sarà, altresì, imprescindibile la compatibilità della “Giustizia predittiva” con le norme sulla privacy e sui dati sensibili. Al riguardo l’Unione Europea ha emanato un’apposita Direttiva (2016/680), prevedendo il divieto di decisioni basate unicamente su un trattamento automatizzato in ambito penale, mentre negli altri settori giuridici l’art. 22 del GDPR (Regolamento protezione dei dati) riconosce all’interessato il diritto pretendere l’intervento umano nei casi di processi con decisione automatizzata.

La giustizia predittiva è in fase sperimentale nel Tribunale di Brescia e nella Corte d’Appello di Venezia, ma è interessante il progetto della Scuola Sant’Anna di Pisa, che mira a creare un algoritmo in grado di prevedere talune tipologie di sentenze grazie alla creazione di una banca dati la cui fruizione dovrebbe essere aperta anche ai cittadini, i quali in un prossimo futuro potrebbero avere contezza delle chance di esito positivo di certi giudizi attraverso un algoritmo.

Scuola superiore Sant'Anna Pisa

Scuola superiore Sant’Anna Pisa

Il diritto per sua natura si muove su un piano complesso e talora può oltrepassare la stretta interpretazione normativa, poiché assumono rilevanza circostanze specificamente attinenti alla persona o al caso concreto.

Quindi, se l’utilizzo dell’AI porterà maggiore certezza, rapidità e prevedibilità delle decisioni giudiziarie, se potrà garantire una migliore conoscibilità delle norme e se nel contempo servirà alle difese per una più efficace  gestione delle controversie, allora sarà un reale ed effettivo valore aggiunto per il sistema giudiziario, ma rimarrà sempre imprescindibile che la valutazione, motivazione e decisione finale siano rese dal Giudice nell’ambito di quello specifico apprezzamento di fatto e diritto che connota una giustizia certa, equa e trasparente.

Giustizia, Raffaello Stanza della Segnatura

Giustizia, Raffaello Stanza della Segnatura

 

 

 

Per approfondire:

“Interpretazione delle legge con modelli matematici” Volume I, Luigi Viola, Ed. Centro Studi Corso Avanzato

 “Intelligenza Artificiale tra ‘calcolabilità’ del diritto e tutela dei diritti”, Roberto Bichi in Dottrina e Attualità Giuridiche, Giurisprudenza Italiana 2019

 “Giurimetria, sempre più matematica nel mondo della giustizia”, Claudia Morelli, in Altalex.com, 10 giugno 2019

 “Algoritmi e processo: alle soglie di una nuova era”, Marco Martorana, Il Quotidiano Giudico, Wolter Kluwer, 18 marzo 2020

 “Intelligenza Artificiale, a Pisa l’algoritmo che ‘prevede’ le sentenze”, Valentina Maglione, Il Sole 24 Ore, 1° giugno 2021

 Immagine di copertina: Poliedri di Leonardo da Vinci per Luca Pacioli

Il Futuro e la Prudenza

“Ex praeterito praesens prudenter agit ni futura actione deturpet”: dal passato, il presente agisce con prudenza per non guastare l’azione futura.

L’Allegoria della Prudenza (1560-1565) è una delle opere più suggestive di Tiziano Vecellio ed è conservata presso la National Gallery di Londra. E’ un dipinto molto particolare, tanto da essere stato oggetto di studio approfondito da parte dello storico dell’arte Erwin Panofsky: pur essendo intitolato come “allegoria”, ossia la rappresentazione di una massima filosofica tramite un’immagine visiva, potrebbe essere definito “emblematico”, quasi vi fossero rappresentati dei “simboli” dei quali si deve indovinare l’oscuro significato per comprendere appieno il quadro. Un’allegoria pura, sempre della stessa mano del Vecellio, è invece l’Amor Sacro e Amor Profano.

Amor Sacro e Amor Profano, Tiziano, Galleria Borghese, Roma

Amor Sacro e Amor Profano, Tiziano, Galleria Borghese, Roma

Un indizio interpretativo è dato dal motto latino visibile nella parte alta “Ex praeterito praesens prudenter agit ni futura actione deturpet”, che fa riferimento al concetto di “tempo”, inteso come passato, presente e futuro, aprendo la via alla comprensione del messaggio sotteso.

Il dipinto si osserva da sinistra verso destra: il vecchio a sinistra è il ritratto di Tiziano, ormai alla fine della propria gloriosa carriera, il quale rappresenta il tempo passato: ciò che è stato è illuminato da una luce fioca, la figura ha contorni poco chiari, parrebbe quasi un “non finito”; il ritratto centrale è quello del figlio Orazio: all’epoca era un uomo maturo, nel pieno degli anni, e qui è il volto del tempo presente, mentre il giovane in piena luce a destra con il viso illuminato è il nipote Marco, il futuro della famiglia.

I tre volti simboleggiano le tre età della vita, ma anche le fasi del tempo che sostengono il concetto di “Prudenza”, la quale ha un significato diverso da quello odierno e che può essere così espresso “ricordare il passato, ordinare il presente, contemplare il futuro”.  L’esperienza di ciò che è stato deve aiutare l’intelligenza del tempo presente a operare senza nuocere al futuro.

La Prudenza, Scuola del Rossellino

La Prudenza, Scuola del Rossellino

Sotto i ritratti ci sono tre teste animali, un lupo, un leone e un cane, il loro significato è molto complesso in quanto – ancora una volta – legato al concetto dell’inesorabilità del trascorrere del tempo; il tricefalo è una figura che gli studiosi fanno risalire a tempi antichissimi, fino alle religioni egizie.

Il Tricefalo di Serapide

Il Tricefalo di Serapide

Se da un lato il dipinto apre a riflessioni legate all’esperienza maturata in vita, dall’altro evidenzia una visione attuale del passaggio del patrimonio e della memoria alle generazioni future.

Gli storici insegnano che Vecellio non fu solo un grande artista, ma anche un notevole imprenditore, pertanto curava e teneva in grande considerazione la necessità di regolare il cosiddetto “passaggio generazionale” dell’impresa: l’opera in esame è l’esatta espressione di questo pensiero, teso a garantire la continuità di ciò che l’artista ha realizzato in vita, sia per non disperdere la sua memoria, sia per preservare l’aspetto economico della propria fiorente bottega.

Secondo lo storico Panofsky, non è azzardato supporre che con la sua Allegoria della Prudenza, Tiziano volesse ricordare determinate disposizioni legali e patrimoniali, cosicché il figlio non dimenticasse l’importanza di una gestione intelligente degli affari, per consentire all’attività di proseguire nel futuro con il giovane nipote.

Flora, Tiziano Vecellio, Galleria degli Uffizi, Firenze

Flora, Tiziano Vecellio, Galleria degli Uffizi, Firenze

Sotto il profilo del diritto la successione ereditaria è argomento molto delicato, ma estremamente interessante: l’ordinamento, infatti, riconosce alla persona la facoltà di disporre tramite un testamento delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere.

Il testamento è un atto personalissimo, in quanto può essere reso soltanto dall’interessato, è revocabile in ogni tempo e per avere validità è sufficiente che sia “olografo”, ovvero scritto, datato e sottoscritto di pugno dal testatore, non sono richieste altre formalità particolari, né lessicali, purché la volontà sia comprensibile.

Tralasciando le specifiche in tema di quote ereditarie e dei cosiddetti legati, per semplicità si può affermare che con il testamento è possibile nominare i propri eredi, stabilire quanto e/o quali beni lasciare loro.

Ci sono tuttavia dei limiti ben precisi, rappresentati dalle quote riservate ex lege ai legittimari, ovvero gli ascendenti, i discendenti e il coniuge. Le cosiddette “quote di legittima” sono indisponibili per il testatore. Questo significa che in presenza di uno e più legittimari, la quota realmente libera che il testatore può destinare a qualsiasi soggetto e/o ente può variare tra una metà, un terzo o un quarto del patrimonio a seconda dei casi. Per esempio, nel caso in cui ci sia il coniuge e un figlio: un terzo del patrimonio sarà riservato al coniuge, un terzo al figlio, mentre il rimanente costituirà la quota disponibile che potrà essere lasciata a favore di chiunque il testatore desideri.

Nel caso in cui all’apertura della successione non vi sia alcun testamento, è la legge a regolare la delazione, intesa come offerta dell’eredità ai chiamati a succedere in qualità di eredi, i quali a loro volta saranno liberi di accettarla o rifiutarla.

Una nota a parte merita la delicata questione del passaggio generazionale nell’impresa, che nel 2006 ha portato il Legislatore a introdurre il “Patto di famiglia” un interessante tipologia di contratto che l’imprenditore stipula in vita, finalizzato a garantire la continuità dell’impresa con gli eredi più capaci e competenti, così da evitarne la disgregazione tra una pluralità di soggetti, purtroppo a volte privi della benché minima capacità imprenditoriale, rischiando di porre in serio pericolo la sopravvivenza dell’impresa stessa.

La visione di Tiziano e il significato della sua Allegoria sono sempre attuali: il concetto di Prudenza nel senso inteso dall’artista meriterebbe di essere riscoperto per un presente intelligente a protezione del futuro comune.

La Festa degli Amorini, Tiziano, Museo del Prado

La Festa degli Amorini, Tiziano, Museo del Prado

Per approfondire:

Per approfondire: “Il significato delle arti visive” di E. Panofsky, Piccola Biblioteca Einaudi ed. 2010

“Diritto Civile – Le successioni” di Massimo Cesare Bianca, Ed. Giuffrè, V edizione

Immagine di copertina: L’Allegoria della Prudenza, di Tiziano Vecellio, National Gallery, Londra

Volli, fortissimamente volli

La coscienza e volontà di un evento dannoso rappresentano il cuore del delitto.

Nel diritto penale il dolo è l’elemento più suggestivo e intrigante del crimine, rappresenta la diretta espressione della volontà della persona di compiere il reato. Si compone di due  elementi: il primo detto “rappresentazione”, la quale deve essere intesa come la visione da parte del reo del fatto penalmente rilevante; in questa fase, il soggetto  consapevolmente costruisce nella sua mente il crimine: valuta i presupposti, gli strumenti, i mezzi, il luogo e le caratteristiche della vittima. Il secondo presupposto  è la “risoluzione”, ossia la volontà della condotta rivolta all’effettiva realizzazione dell’evento dannoso.

Il dipinto raffigura il ladro di nidi di bruegel

Il ladro di nidi di Pieter Bruegel

Prendiamo a esempio il furto: il dolo si comporrà di una prima fase, nella quale il ladro individuerà il bene da rubare, valuterà le varie circostanze del caso, le abitudini della vittima, gli eventuali sistemi d’allarme, l’orario dell’azione e, quindi, passerà all’aspetto volitivo, decidendo di agire secondo le modalità ideate.

L'immagine raffigura il dipinto il ladro di Botero

Il Ladro di Fernando Botero

Il dolo, inteso quale elemento soggettivo del reato, nei delitti è la regola, mentre quelli colposi sono sempre tipicamente previsti dalla legge. Secondo il disposto dell’art. 43 C.p. l’evento di danno, rappresentato dalla lesione del bene protetto dall’ordinamento – si pensi alla vita, all’integrità fisica, o alla proprietà, solo per citarne alcuni – deve essere previsto e voluto dal soggetto agente come conseguenza della propria azione od omissione.

Il dolo non è unico nel suo genere: esso si manifesta con caratteri e intensità diversi, i quali sono particolarmente rilevanti sia sotto il profilo della valutazione della  pericolosità del reo, sia per quanto attiene alla quantificazione della sanzione penale.

Il dolo è diretto o intenzionale quando l’evento è voluto dal reo per la realizzazione del proposito delittuoso: la morte di Cesare era il risultato pensato e voluto dai congiurati.

L'immagine raffigura la morte di Cesare di Camuccini

La morte di Cesare di Vincenzo Camuccini

Il dolo è eventuale quando il soggetto è consapevole della possibilità che l’evento lesivo si verifichi e ne accetta consapevolmente il rischio: è il caso del soggetto che sa di essere affetto da patologia contagiosa e intrattiene rapporti a rischio con altri, accettando la possibilità di un probabile contagio.

L'immagine raffigura gli Amanti di Magritte

Gli Amanti di Magritte

Con riferimento all’intensità il dolo può essere d’impeto: pensiamo all’ira folle. Il caso più eclatante risale alla notte dei tempi con il fratricidio consumato da Caino invidioso  del rapporto di devozione di Abele nei confronti di Dio.

L'immagine raffigura Caino e Abele di Tiziano

Caino e Abele di Tiziano

Ai fini di un giudizio sulla pericolosità del reo, ma al di fuori della tematica del dolo, si colloca la premeditazione, prevista come aggravante speciale di taluni delitti: è caratterizza da un progetto delittuoso dettagliatamente studiato, il quale permane nella mente del soggetto per un certo intervallo di tempo, che ne rafforza sensibilmente il proposito criminoso.

E’ il caso di Giuditta, la quale riccamente abbigliata decise di uccidere Oloferne per liberare il suo popolo dall’assedio: si recò, quindi, nel suo accampamento, facendo credere al re assiro di sottomettersi al suo volere, ma Oloferne, dopo le abbondanti libagioni, cadde in sonno profondo: lei sfoderò la spada e diede attuazione al suo piano delittuoso, che completò portando con sé la testa del despota riposta all’interno di una cesta.

L'immagine raffigura il dipinto Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi

Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi

Ancora diverso è il movente, inteso come il motivo per cui il reo ha commesso il crimine: generalmente è irrilevante ai fini dell’illiceità del fatto, la quale non muta in virtù delle ragioni che per esempio hanno spinto il soggetto a provocare lesioni gravissime o la morte della sua vittima.

L'immagine raffigura il Cristo Morto di Andrea Mantegna

Il Cristo Morto di Andrea Mantegna

Soltanto in taluni casi i motivi hanno importanza e assurgono a elemento costitutivo del reato; in tali crimini la norma prevede che il fine della condotta sia parte integrante della fattispecie, è il caso del dolo specifico. La truffa è il tipico reato a dolo specifico, in quanto il soggetto pone consapevolmente in essere una serie di raggiri e artifizi per indurre in errore la vittima al fine di procurare a sé, o ad altri, un ingiusto profitto: questo quid in più – rappresentato  dall’ingiusto profitto – rispetto alla normale consapevolezza e volontà dell’evento lesivo  attribuisce rilevanza alle ragioni e finalità della condotta delittuosa.

L'immagine raffigura i Giocatori di carte di Rombouts

I Giocatori di carte di Theodore Rombouts

 

Per approfondire:

Per approfondire: Luigi Delpino, Diritto Penale Parte Generale, ed. Giuriche Simone 2000

VENEZIA SPLENDERA’ ANCORA

E’ particolarmente dura per Venezia: nell’inverno appena trascorso è stata travolta da un’eccezionale ondata di acqua alta che ha provocato danni a non finire, ora l’epidemia di Covid 19 con il suo carico luttuoso e i devastanti risvolti economici.

Il nostro mondo è ostaggio del nuovo corona virus-19, ma un pensiero speciale è riservato alla Città nata sull’acqua, splendida, unica e fragile come nessun’altra, connotata da una peculiare forza che le consentirà ancora una volta di risollevarsi: è sufficiente che ripensi alla propria Storia.

Le devastanti epidemie di peste che dilagarono nell’Europa trecentesca decimarono la popolazione: dalle stime di Papa Clemente V pare che il batterio dell’Yersina Pestis uccise circa 23.840.000 persone. Gli Stati di allora erano impotenti di fronte alla malattia di cui non potevano conoscere sia le cause, sia le cure, essendo la scienza medica non ancora in grado di rispondere.

La peste a Venezia (San Rocco risana gli appestati, Tintoretto)

Già intorno alla metà del 1300 Venezia intraprese una via innovativa per arginare i contagi, nominando un Consiglio di tre Provveditori incaricati di isolare  navi, persone e beni infetti, confinandoli in un’isola disabitata della laguna; inoltre, murarono le case dei contagiati e chiusero intere zone della città, inibite per mesi all’accesso da parte dei cittadini.

A fronte di tali restrizioni, il Maggior Consiglio, ben consapevole che l’economia veneziana si reggeva sul commercio, avviò una serie di forti manovre economiche per rilanciare l’economia, compreso un robusto pacchetto di sgravi fiscali.

Le pestilenze si ripresentavano con cadenza regolare e Venezia fu pronta a intervenire con misure sempre più restrittive, imponendo severe norme igieniche e sanitarie: i Provveditori vigilavano sulla pulizia delle case, vietavano la vendita di alimentari pericolosi, chiudevano Chiese, luoghi pubblici e si evitavano gli  assembramenti.

Divieto di assembramenti (Ricevimento ambasciatore di Francia, Canaletto)

I contagiati venivano ricoverati nel Lazzaretto Vecchio, mentre chi era stato a contatto con i malati era trattenuto per venti giorni in altre strutture appositamente allestite; le navi che entravano in laguna dovevano rispettare un periodo di quarantena alla fonda prima di poter accedere alla città.

Chiese chiuse (Il Battesimo, Pietro Longhi)

Come sempre Venezia, dimostrava di precorrere i tempi e la modernità: per la prima volta si assisteva a un tentativo di medicina preventiva attraverso misure sociali.

Per garantire il rispetto delle normative in materia sanitaria, la Serenissima era piuttosto drastica: pare che in una nave fosse stata issata una forca per far giustiziare i trasgressori e chi ospitava persone contagiate veniva condannato alla reclusione e al pagamento di una multa.

Limitare la libertà di circolazione (Riva degli Schiavoni, Canaletto)

Sono passati più di seicento anni, ma lo spirito della Serenissima non è molto cambiato: la Regione Veneto nella gestione l’emergenza Covid 19 ha reagito con tempestività e rapidità,  usufruendo di tutte le risorse a sua disposizione; in pochi giorni sono stati convertiti interi ospedali in Covid Hospital, unità complesse dedicate alla cura dei pazienti affetti da SARS-CoV-2 (la sindrome respiratoria acuta che identifica appunto la Coronavirus disease – 19), è stato predisposto l’allestimento di centinaia di nuove postazioni di terapia intensiva e sub intensiva, oltre a sottoporre sanitari e popolazione a migliaia di tamponi per verificare la presenza della malattia, individuando i “portatori sani”, i quali ospitano il corona virus senza alcuna sintomatologia rappresentando la principale sorgente di contagio.

Il tampone (Il Cavadenti, Pietro Longhi)

Anche il Governo ha emesso una serie di provvedimenti restrittivi, i quali spaziano dalla limitazione della  libertà di circolazione dei cittadini, alla chiusura di tutti i servizi e  attività imprenditoriali non ritenuti essenziali. I cittadini sono di fatto obbligati a rimanere a casa, potendo uscire soltanto per comprovate esigenze di lavoro o per necessità ed è  vietato qualsiasi tipo di assembramento, oltre a essere sollecitate ripetute pratiche igieniche come il lavaggio delle mani.

Restate a casa (Prospettive Canaletto)

I giuristi si sono subito interrogati sulla legittimità di tali provvedimenti, così fortemente limitanti le libertà costituzionalmente garantite: le norme di riferimento sono gli artt. 16 e 17 della Costituzione, rispettivamente riferiti alla libertà di circolazione e di riunione. L’art. 16 espressamente consente limitazioni in via generale della libera circolazione per “motivi di sanità e sicurezza”: non è dubitabile che l’attuale situazione di pandemia  giustifichi l’adozione di provvedimenti restrittivi per motivi di salute pubblica e sicurezza  al fine di limitare il contagio.

Mantenete la distanza di sicurezza (La Tempesta, Giorgione)

Sono ravvisabili anche i presupposti di necessità e urgenza in ragione dei quali il Governo ha emanato il Decreto Legge del 23 febbraio 2020 n. 6 convertito in legge n. 13 del 5 marzo 2020: per capire il profilo giuridico, è necessario richiamare l’art. 77 della Costituzione, in tema di decretazione d’urgenza. La norma consente al Governo in casi straordinari – connotati appunti dallo stato di necessità e dall’urgenza – di emanare provvedimenti aventi forza di legge ordinaria, i quali rimangono in vigore soltanto se convertiti in legge dal Parlamento entro sessata giorni dalla loro pubblicazione. In mancanza, il decreto decade e rimane privo di effetti.

Il decreto del 23 febbraio 2020 n. 6 ha definito la cornice giuridica delle norme in tema di Emergenza Covid 19, atteso che  i successivi provvedimenti sono stati emanati nella forma del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) o dei singoli Ministri, mentre è in fase di conversione il D. L. del 25 marzo 2020 n. 19.

Ristoranti chiusi (Le Nozze di Cana, Veronese)

Secondo un’interessante riflessione del Prof. Azzariti Ordinario di Diritto Costituzionale dell’Università La Sapienza di Roma, i DPCM non possono essere considerati atti contrari alla Costituzione, poiché emanati in un’evidente e comprovata situazione di stato di necessità e finalizzati alla tutela del diritto alla salute dei cittadini (garantito dall’art. 32 Cost.), tuttavia, deve essere ben chiaro il limite temporale delle restrizioni delle libertà personali: scaduto tale limite i diritti inviolabili compressi tornano nella loro piena integrità.

E’ auspicio condiviso da tutti la rapida e definitiva soluzione di questa emergenza, la quale porterà inevitabilmente pesantissimi risvolti economici, che dovranno essere fronteggiati  con misure severe a sostegno di tutti, compresi i professionisti, troppo spesso esclusi in ragione di radicati preconcetti di “casta” connotata da floride situazioni patrimoniali: purtroppo, è noto come tali convinzioni siano da tempo molto distanti dalla realtà.

Uniti ce la faremo e, quando sarà finita, Venezia merita un omaggio, una visita magari con sosta alla meravigliosa Basilica dedicata alla Madonna della Salute voluta dal Doge Nicolò Contarini nel 1630, quale tributo per la liberazione della città dall’ennesima pestilenza: sarà un’occasione  per riscoprire la bellezza dell’indomita Serenissima pronta a risollevarsi e risplendere ancora una volta.

Santa Maria della Salute

Per approfondire:

Andrew Nikiforuk “Il Quarto Cavaliere” Ed. Oscar Storia Mondadori 2008

Prof. Gaetano Azzariti “I limiti costituzionali della situazione d’emergenza provocata dal Covid 19” 27 marzo 2020 in Questione Giustizia

La peste a Venezia da www.vogavenetamestre.it

Livio Paladin “Diritto Costituzionale” Cedam 1991

Tutte le immagini sono opere di artisti veneziani, l’immagine di copertina è Il Leone di San Marco di Vittore Carpaccio

 

Rivalità, sgambetti e dispetti

Michelangelo e Raffaello non potevano essere più diversi: dispotico, irruento e molto poco diplomatico il primo, giovane, affascinante e talentoso il secondo.

Ambiziosi e consapevoli ognuno del valore dell’altro, si rispettavano, anche se la competizione per la ricerca della gloria personale divenne presto una spiccata  rivalità che talvolta sconfinava nell’invidia.

Il Buonarroti era un genio solitario a tratti indomabile: Giulio II ne comprese subito la grandezza, anche se le cronache raccontano di furibondi litigi tra i due; al fiorentino vennero perdonate intemperanze e l’insofferenza mai celata all’autorità; rivendicò sempre  l’assoluta autonomia decisionale nell’esecuzione delle opere e fu gelosissimo delle sue tecniche di lavoro, tanto da  vietare categoricamente l’ingresso nella Sistina durante la realizzazione degli affreschi della volta.

Volta Cappella Sistina, Michelangelo

Di tutt’altra natura fu il rapporto tra Giulio II e Raffaello: il ventenne conquistò subito le simpatie del Pontefice, non solo per i suoi modi affabili e disponibili, ma soprattutto per la grande intelligenza; l’urbinate,  infatti, non esitava a coinvolgere nel suo lavoro i propri allievi: in breve tempo creò una fiorente e produttiva Bottega, grazie alla quale era in grado di accettare le numerose commissioni di grande prestigio che gli erano proposte, portandole a termine nei tempi convenuti, con grande soddisfazione dei committenti che ne elogiavano la maestria.

Ritratto di Giulio II, Raffaello

Nello periodo in cui il Pontefice incaricò Raffaello di affrescare le Stanze della Segnatura, poco più in là un solitario Michelangelo stava compiendo un lavoro immane: l’ammirazione del giovane artista per il Maestro Buonarroti risaliva al suo soggiorno fiorentino, durante il quale era rimasto colpito e affascinato dai lavori del Buonarroti: aveva studiato a lungo il David, per carpirne i segreti nascosti dietro alla potente ma allo stesso tempo elegante fisicità.

L'immagina raffigura la Stanza della Segnatura in Vaticano

Stanza della Segnatura, Raffaello, Vaticano

Si racconta che Raffaello non resistette alla tentazione e, in un momento di assenza del Maestro, di nascosto sbirciò dentro la Sistina, rimanendo attonito per lo stupore e la meraviglia delle scene illustrate nella volta,  non capacitandosi di come un uomo solo potesse essere in grado di realizzare un’opera così maestosa; Michelangelo, ovviamente,  si irritò moltissimo quando apprese che l’urbinate aveva spiato il suo lavoro, indifferente all’ammirazione suscitata nel giovane.

Raffaello colpito dalla grandezza del Maestro fiorentino, decise di dedicargli un tributo nella Scuola di Atene, il suo affresco più celebre, raffigurandolo in primo piano nella veste di Eraclito, imbronciato, chino e pensieroso. Alcuni studiosi ritengono che il modo in cui Michelangelo è stato raffigurato, con abbigliamento da lavoro ed estraneo rispetto al contesto che lo circonda, sia stata in realtà una presa in giro diretta a enfatizzare il carattere poco socievole del Buonarroti.

Il Diritto Perfetto - La Scuola di Atene

Scuola di Atene, Raffaello, Stanza della Segnatura

 

Michelangelo dal canto suo, era consapevole dello straordinario talento di Raffaello e segretamente ne ammirava il lavoro. Quando venne a conoscenza dell’appalto conferito al giovane collega da Agostino Chigi, banchiere e mecenate dell’epoca, per la realizzazione degli affreschi della faraonica Villa Chigi – oggi Villa Farnesina –  in un momento di assenza dell’artista, si recò a vedere come procedevano i lavori.

Sala di Amore e Psiche, Villa Farnesina, Roma

La leggenda narra che Michelangelo rimase sorpreso dalla bellezza e sensualità del Trionfo di Galatea: decise, quindi, di testimoniare il proprio passaggio, disegnando a carboncino in una delle nicchie della sala del banchetto intitolata ad Amore e Psiche una gigantesca testa raffigurante un giovane.

Quando Raffaello se ne accorse si arrabbiò moltissimo, geloso com’era della segretezza dei suoi lavori in corso d’opera, ma decise di non cancellarla in segno di rispetto al grande Maestro.

Testa di giovane realizzata da Michelangelo, Villa Farnesina, Roma

La mano di Michelangelo sembra abbia aiutato anche l’amico Sebastiano Del Piombo, impegnato nel dipingere Polifemo che insegue Galatea: anche Del Piombo soffriva la grande bravura di Raffaello e non voleva in alcun modo sfigurare al suo confronto, per cui chiese all’amico Michelangelo di disegnare il corpo della creatura, poi lui avrebbe colorato la figura. Effettivamente, guardando il corpulento Ciclope sembra di scorgere la tipica fisicità michelangiolesca.

Polifemo, Sebastiano Del Piombo e il Trionfo di Galatea di Raffaello

Purtroppo, la proficua competitività tra i due non durò molto a causa della prematura scomparsa di Raffaello a soli trentasei anni: appresa la notizia della morte del giovane, Michelangelo si propose a Papa Leone X per ultimare le stanze del Vaticano, adducendo che il lavoro fosse troppo importante  per essere lasciato nelle mani degli allievi di bottega.

Il Pontefice rifiutò la proposta, evidenziando come Raffaello avesse istruito alla perfezione i suoi collaboratori, i quali furono assolutamente in grado di ultimare il lavoro del loro Maestro, consegnandolo all’immortalità.

Dettaglio Sala di Amore e Psiche, Raffaello, Villa Farnesina

 

Per approfondire:

“Raffaello una vita felice” di Antonio Forcellino, Editori Laterza

https://www.ildirittoperfetto.it/denaro-potere-e-la-magnificenza-dellarte/

https://www.ildirittoperfetto.it/la-potenza-dellimmagine-tra-appalti-e-subappalti/